Cincinnato1961’s Weblog

Virtuale strategico

Archive for dicembre 2007

No Grillo, questo non ti compete!

Posted by cincinnato1961 su dicembre 25, 2007

NATALE MAIALE BY GRILLO – “DI SACRO È RIMASTO SOLO IL CONTO CORRENTE” – COME PAPA GIOVANNI: “NON INDEBITATEVI PIÙ, SE POTETE, E A NATALE DATE UN BACIO AI VOSTRI FIGLI E ANCHE AI VOSTRI NONNI DA PARTE DI BEPPE”..

 

http://www.beppegrillo.it

Domani è Natale e un terribile delitto lo annuncia come una stella cometa. Una signora di Bassano del Grappa è stata uccisa e fatta a pezzi. Il suo prezzo di mercato era stato fissato in 800.000 euro dai rapitori. Si chiamava Iole Tassitani, era figlia di un notaio, viveva sola con i suoi gatti, aveva 41 anni.

Il Natale mercificato ha avuto la sua vittima sacrificale. Natale è un punto di arrivo, la celebrazione del consumismo e del denaro. Di sacro è rimasto solo il conto corrente. Tutto si pesa in soldi. La vita delle persone, gli organi di un bambino, l’acqua, l’aria. Un capitalismo di cartapesta avvelenato dai prestiti che rovinano la vita, inventato dalla televisione che crea soldi da scatole in prima serata e da domande di prima elementare.

Il sesso è business, nei marciapiedi, nei calendari, nelle compravendite di senatori. La politica è tangenti, corruzione, frode fiscale, false fatturazioni, corruzione giudiziaria, finanziamenti illeciti. I 24 parlamentari condannati, quasi tutti, sono colpevoli di avidità.
Mi ricordo, da bambino, la corsa al cotechino al centro di un grande piatto di risotto in comune. Chi mangiava più velocemente arrivava al cotechino. Non c’è più quella competizione e neppure il cotechino al centro del piatto. Lo mangiano sempre prima in cucina.

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La contraddizione di un Paese ossessionato dal miraggio della ricchezza facile e senza soldi dove ci porterà?
La gente non si rassegna ad essere povera, se non può essere ricca, deve almeno far finta. L’apparenza del nulla costruita sui debiti.

Quanto vale il denaro non necessario per vivere? Nulla, anzi è un debito, lo paghiamo con il nostro tempo, con i nostri affetti. E’ una droga che fa impazzire la società. Più della cocaina, più dell’eroina. E genera mostri che uccidono.
Non indebitatevi più, se potete, e a Natale date un bacio ai vostri figli e anche ai vostri nonni da parte di Beppe. Buon Natale!

Dagospia 24 Dicembre 2007

 

http://dagospia.excite.it/articolo_index_36795.html

 

 

Piuttosto è preferibile che nessuno lo faccia.

Che ci provino gli Alberini e le loro ovvietà a farlo.

Ma non spetta a te.

 

Usa la piazza e la tua popolarità per dimostrare di come si possa fare politica.

Perché la politica, quella con la P maiuscola non esiste più.

E tu, giullare, guitto comico con parole semplici dimostri che la politica è morta.

Che la politica è diventata un diritto dei pochi senza doveri verso i più.

 

Ma non spetta a te il ruolo di “moralizzatore”.

Specie se le poltrone per assistere al tuo spettacolo costano 50 euro e nel tuo sito fai bannare chi dice veramente la verità. 

 

Lascia perdere Grillo.

Altrimenti rischi di diventare come loro.

 

Buon Natale.

E di positivo in questa crisi c’è che 9 persone su 10 trascorreranno il Natale in famiglia.

Nel posto migliore  più umano e naturale che ci sia.

La famiglia.

 

Buon Natale compatrioti!

Buon Natale dal profondo del cuore!

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

La Commission européenne lance un programme de propagande radio

La Commission européenne, qui finance déjà la réalisation de programmes audiovisuels et d’une chaîne de télévision (Euronews), lancera en avril 2008 son propre programme radio à destination des populations de l’Union.

Consciente qu’aucun auditeur n’écoutera spontanément un programme de propagande de l’UE sur un canal ad hoc, la Commission infiltrera son programme sur les ondes de 16 stations nationales de l’Union (Deutsche Welle, Radio France Internationale, Radio Netherlands Worldwide, Polskie Radio, Radio Punto, etc.). Ces émissions seront produites en cinq langues (allemand, anglais, espagnol, français et polonais) et traduites en cinq autres langues (bulgare, grec, hongrois, portugais et roumain)

Les Allemands assureront la coordination éditoriale, les Français la gestion financière et les Néerlandais réaliseront le site web.

Le coût réel de cette opération est inconnu : il en coûtera 5,8 millions d’euros par an à la Commission, mais les principaux postes budgétaires (personnels et studios) seront largement pris en charge par les radios participantes au détriment des budgets nationaux.

 

http://www.voltairenet.org/article153692.html

 

 

 

Roma | 18 dicembre 2007

Consumi, per il 67% dei commercianti economia in fase critica

Consumi in calo

I commercianti italiani, grandi e piccoli, esprimono preoccupazione per la situazione economica del Paese. E’ quanto emerge dala terza edizione dell’Osservatorio sui consumatori, realizzato da Ispo in collaborazione con Agos, che si è svolta nei mesi di novembre e dicembre 2007 e ha raccolto 583 questionari, auto-compilati via web da un campione statisticamente rappresentativo di commercianti italiani, grandi e piccoli.

La valutazione che i commercianti danno della situazione economica generale oggi in Italia è decisamente critica: solo il 5% la definisce ottima o buona, e ben il 67% problematica o molto problematica. Nonostante la criticità dei dati, tuttavia, si registra una stabilizzazione rispetto ai dati di ottobre, che, invece, erano di gran lunga peggiori rispetto all’edizione di maggio.

Le previsioni per il prossimo futuro si articolano in modo differenziato: sono piuttosto negative per l’andamento complessivo dei consumi in Italia (tale andamento migliorerà solo per il 13% del campione); diventano però ben più ottimistiche in riferimento sia alle previsioni per l’andamento dei consumi nel proprio settore (migliorerà per il 25% degli intervistati), sia, soprattutto, in riferimento alla situazione economica della propria azienda (che migliorerà per il 33% del campione). Si conferma una battuta di arresto del trend negativo delineato dalle due edizioni precedenti.

Per il 66% del campione, se non ci fosse la possibilità del credito al consumo, la propria azienda perderebbe una quota del suo fatturato. Solo per il 19% degli intervistati questa quota di fatturato sarebbe inferiore al 10%; per 1 intervistato su 5 sarebbe compresa tra il 20 e il 30%; e per 1 su 4 tra il 30 e il 50%. Per il 18% del campione, infine, la quota di fatturato che verrebbe meno alla propria azienda, in mancanza della possibilità del credito al consumo, sarebbe addirittura superiore al 50%. Nella percezione dei commercianti italiani, i giovani adulti (67% del totale risposte) rappresentano la categoria di consumatori più "aggressiva", più propensa a chiedere autonomamente un finanziamento. Per contro, i "capifamiglia" (52%) rappresentano la categoria più restia, più timida, a cui più di frequente il finanziamento va proposto.

Si tratta in realtà di due categorie piuttosto ambivalenti, che, a seconda delle condizioni socio-economiche, possono rappresentare sia un gruppo solido, contantista, sia, al contrario, l’anello più debole della società (inizio nuova attività, condizione di studenti, nuovo nucleo familiare, famiglie numerose a carico, famiglie monoreddito).

http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76848

 

Roma | 18 dicembre 2007

Feste di Natale, oltre 16 milioni di italiani restano a casa per problemi economici

la montagna tra le mete preferite

Sale in maniera preoccupante la quota di italiani in età maggiorenne che non puo’ permettersi una vacanza a Natale o a Capodanno. Quest’anno, oltre 16 milioni di persone, pari al 34,6%, resteranno a casa. Un anno fa, avevano rinunciato alla vacanza 13 milioni di italiani, pari al 27,9% della popolazione maggiorenne. Il dato emerge da un’indagine realizzata da Federalberghi-Confcommercio.

Un italiano su cinque sceglierà l’estero
Se riusciranno ad andare in vacanza, ben 1 italiano su 5 sceglierà l’estero, spinto dal super-euro, prediligendo le grandi capitali e i mari esotici. Complessivamente, saranno 9 milioni e mezzo gli italiani che faranno i bagagli tra Natale e Capodanno, per un giro d’affari di circa 6 miliardi di euro. Di questi, oltre 2 milioni effettueranno una vacanza lunga, cioe’ dalla vigilia di Natale al primo gennaio.

In Italia, la meta preferita è la montagna
Per chi resterà in Italia e non rinuncerà alla vacanza, la meta preferita sara’ la montagna (il 44,2% della domanda natalizia), seguita da una citta’ diversa da quella di residenza (28,3%) e al mare (15,9%). Il 33,7% alloggerà a casa di parenti o amici rispetto al 35,5% del 2006, mentre il 30% sceglierà l’albergo, contro al 30,4% del 2006.

In media, gli italiani spenderanno circa 700 euro tra alloggio, trasporti, cibo e divertimenti, a fronte dei 652 di un anno fa. A Capodanno, saranno 4,9 milioni gli italiani maggiorenni che si sposteranno dalla propria citta’, dormendo almeno una notte fuori casa.

Federalberghi: è crisi nel settore turistico
Ma, secondo la Federalberghi, sono numeri che indicano crisi e non rilancio del settore. Per questo, il presidente Bernabò Bocca chiede interventi per "ridare immediata competitivita’ al sistema turistico nazionale”. "Dal prossimo anno- aggiunge Bocca- ci attendiamo dunque che la manovra economica, impostata dalla Legge Finanziaria, porti realmente più soldi nelle tasche degli italiani, per consentire anche una robusta ripresa dei consumi  

 

http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76837

 

 

 

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

IL “GRANDE GIOCO”: L’EURASIA E LA STORIA DELLA GUERRA
         DI MAHDI DARIUS NAZEMROAYA
Global Research

La storia della guerra

La storia spesso si ripete. Chi dimentica le lezioni della storia è, per ignoranza, destinato a ripetere gli errori del passato.

"Lo scontro delle civiltà" di Samuel P. Huntington è uno strumento ideologico camuffato usato per raggiungere obbiettivi geo-politici. Questa "nozione del conflitto" è parte di un’ampia strategia che è servita durante tutto il corso della storia a dividere, conquistare e dominare.

In base alle definizioni di Huntington, l’Eurasia è abitata da nove civiltà; la creazione di conflitti tra queste civiltà è uno strumento per controllarle e infine assorbirle nel senso spenceriano (cioè secondo la definizione del sociologo britannico Herbert Spencer) della guerra e dell’evoluzione sociale degli stati-nazione e delle società.
L’umanità sta assistendo ancora una volta a una lenta marcia verso un conflitto internazionale di vaste dimensioni come la seconda guerra mondiale, come Vladimir Putin ha ammonito il popolo russo? Oppure si usa la paura per rendere accettabili politiche economiche globali che non lo sarebbero affatto?
Se l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, erede ai due troni d’Austria e Ungheria (l’Impero Austro-Ungarico), il 28 giugno del 1914, fu il pretesto della prima guerra mondiale, perché in Europa si parlava insistentemente di una grande guerra nel 1905?

Fu alla vigilia della prima guerra mondiale che furono apportate modifiche radicali al sistema bancario degli Stati Uniti e fu alla vigilia della seconda guerra mondiale che in Gran Bretagna furono messe in atto riforme economiche altrimenti impopolari. La guerra fa sì che misure altrimenti impopolari vengano accettate dalla popolazione oppure consente che vengano introdotte più o meno furtivamente.

I moniti di Mackinder: dividere i continentali (gli eurasiatici)

Mackinder mise in guardia gli strateghi britannici sui pericoli di un’unificazione eurasiatica:"E se il Grande Continente, l’intera Isola-Mondo [Africa e Eurasia] o gran parte di essa [per esempio la Russia, la Cina, l’Iran e l’India] dovessero in futuro diventare una sola e unica base di potere marittimo? Le altre basi insulari [per esempio la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e il Giappone] non verrebbero superate nella consistenza della flotta e nella disponibilità di uomini?” [1]

Mackinder indicò alla Gran Bretagna come impedire che questa unificazione avvenisse: Londra adottò una politica di balcanizzazione, con l’obiettivo strategico di prevenire l’unificazione eurasiatica.

Inoltre Mackinder lanciava un monito in merito alle grandi popolazioni dell’Eurasia. Secondo Mackinder gli imperi duraturi erano basati sulla forza lavoro:

"Il vasto progetto saraceno [arabo] di un Dominio di Uomini sui Cammelli esteso verso nord e verso sud attraversato da un Dominio di Marinai esteso verso ovest e verso est era viziato da un fatale difetto; la sua base araba era priva della forza lavoro necessaria a farla funzionare. Ma nessuno studioso delle realtà attorno alle quali deve ruotare il pensiero strategico di qualsiasi governo aspiri al potere mondiale può permettersi di perdere di vista questo monito della Storia". [2]

Mackinder fa la stessa osservazione sugli effimeri imperi dei popoli delle steppe eurasiatiche, come i mongoli:

"Quando i cosacchi russi presidiarono le steppe, alla fine del Medio Evo, si compì una grande rivoluzione perché ai tartari, come agli arabi, era mancata la necessaria forza lavoro su cui fondare un impero duraturo, ma dietro ai cosacchi c’erano i contadini, che oggi [1905] sono diventati un popolo di centinaia di milioni di persone che abitano le fertili pianure del Mar Nero e del Mar Baltico". [3]

La popolazione è chiaramente un importante elemento geo-strategico. Secondo questo schema, la Russia, la Cina e l’India sono viste come minacce. È anche per questo che gli Stati Uniti non rinunceranno mai alle loro armi nucleari. Oltre alla superiorità militare e alle armi nucleari, come possono gli stati della NATO, generalmente meno popolosi, mantenere un equilibrio di potere con stati così altamente popolati? Andrebbe anche notato che una delle ragioni delle conquiste e dell’espansione coloniale europee fu anche il fatto che, all’epoca, i paesi europei avevano (in termini relativi) molti abitanti.
La divisione, balcanizzazione e finlandizzazione dell’Eurasia, dall’Europa Orientale e l’ex Unione Sovietica al Medio Oriente e all’India, è coerente con questi obiettivi storici delineati dalla Gran Bretagna prima della prima guerra mondiale. È uno dei motivi per cui prima del conflitto la Gran Bretagna, la Francia e l’America offrirono rifugio a vari movimenti separatisti dell’Impero Austro-Ungarico, dell’Impero Ottomano e della Russia zarista. Similmente oggi gli Stati Uniti e la Gran Bretagna ospitano gruppi politici d’opposizione contro Iran, Sudan, Turchia, Russia, Serbia, Cina e India. Niente è cambiato. Semplicemente oggi è Zbigniew Brzezinski a lanciare questi moniti, e non Halford Mackinder.

Imparare dalla storia: Prevenire l’Ostbewegung della Germania

Nel 1848, nella chiesa di San Paolo a Francoforte, ci fu il tentativo di creare un’unica e grande nazione europea centro-orientale dominata dalla Germania. Questo progetto cominciò a fare progressi solo mezzo secolo dopo, a causa dell’opposizione della dinastia asburgica e della rivalità tra Prussia e Austria.

La Gran Bretagna temeva il Drang nach Osten della Germania, la sua "spinta verso est", o Ostbewegung, "movimento verso est".

Per lo più questo movimento verso est, che ebbe inizio nel 1200 con l’espansione del commercio su lunghe distanze, non faceva parte delle ambizioni imperiali tedesche. [4] In ambiente britannico si temeva una qualche forma di unificazione tra le due potenze dominanti dell’Heartland eurasiatico, la Germania e la Russia. Nel ventunesimo secolo si teme l’unificazione di Russia, Cina, India e Iran.

Prima della prima guerra mondiale gli strateghi britannici ritenevano che la Germania si stesse avviando a grandi passi a diventare una superpotenza globale. Tutto ciò che le serviva era il dominio industriale sulla Russia e l’Impero Ottomano, che era a buon punto. La Germania stava già acquisendo il controllo dei mercati britannici e minacciava economicamente gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Storicamente, l’Europa Orientale si è trovata serrata tra due grandi nazioni, la Germania e la Russia. Dopo l’era napoleonica e fino alla prima guerra mondiale fu dominata dai russi e poi dai tedeschi. Storicamente, la strategia britannica mirava a indebolire la Russia zarista finché la Germania non avesse rimpiazzato la Russia come potenza dominante dell’Europa Orientale. È una delle ragioni per cui la Gran Bretagna e la Francia appoggiarono i turchi ottomani nelle loro guerre contro i russi.

L’influenza tedesca nell’Europa Orientale era assicurata grazie a un’alleanza tra ungheresi (magiari) e austriaci. L’influenza tedesca era anche cresciuta economicamente, politicamente e industrialmente nel territorio dei turchi ottomani nel Medio Oriente. Nella Russia zarista, prima della prima guerra mondiale, l’influenza tedesca era politicamente ed economicamente significativa. La capitale russa, San Pietroburgo, si trovava in un’area germanizzata del paese e molti aristocratici e nobili russi erano germanizzati e germanofoni.

Vi erano insediamenti o colonie industriali della Germania anche in Ucraina e nel Caucaso, all’interno del territorio della Russia zarista. Similmente, erano stati fondati insediamenti tedeschi a Levante, nel territorio dei turchi ottomani. L’Ostbewegung aveva più a che fare con l’economia e con una forte e compatta base industriale eurasiatica sotto il controllo della Germania che con il mito della colonizzazione tedesca di tutta l’Eurasia.

Tuttavia, i mezzi di espansione economica della Germania cambiarono circa mezzo secolo dopo con l’ascesa di Adolph Hitler, che cercò di imporre militarmente in Eurasia una forma di globalizzazione guidata dalla Germania. Stiamo assistendo a una ripetizione di quel tentativo da parte di coloro che detengono il potere a Washington e a Londra?

Una lezione della storia: in guerra mettere i russi contro i tedeschi

La competizione industriale ed economica era la questione cruciale che si celava sotto le tensioni che portarono alla prima guerra mondiale. Anche Mackinder lo afferma. Di fatto i tedeschi si stavano espandendo a est dal punto di vista economico. Si esagerò la spinta demografica della Germania verso oriente. Storicamente, prima dell’unificazione della Germania sotto il principe Otto von Bismarck, primo ministro prussiano, i tedeschi venivano spesso chiamati come mercanti e artigiani dagli stati dell’Europa Orientale, come la Boemia e l’Ungheria.

Mackinder e altri britannici vedevano tutto questo come parte di una graduale tendenza all’unificazione dell’Heartland eurasiatico sotto un unico e potente attore.

La soluzione per bloccare l’ascesa di un unico e potente attore nell’Heartland fu mettere i tedeschi contro i russi:

"Nell’Europa Orientale ci sono due elementi principali. quello teutonico [tedesco] e quello slavo, ma tra essi non è stato creato un equilibrio come tra gli elementi romanzi [neolatini] e teutonici dell’Europa Occidentale. La chiave dell’intera situazione in Europa Orientale – ed è un fatto che non può essere ora approfondito – è la pretesa tedesca di dominare sugli slavi. Vienna e Berlino, poco oltre il confine dell’Europa Occidentale, si trovano già in un territorio che fu slavo all’inizio del Medio Evo; rappresentano il primo passo della Germania fuori dal suo territorio verso est, nei panni di conquistatrice". [5]

Agli occhi della Gran Bretagna, mettere i russi e i tedeschi gli uni contro gli altri era fondamentale per impedire ai continentali di unificarsi.

Le radici del patto anglo-americano

I britannici e gli statunitensi stavano chiaramente cercando di indebolire sia la Germania sia la Russia zarista. È reso evidente dall’appoggio di Gran Bretagna e Stati Uniti al Giappone "quando essa [la Gran Bretagna] mantenne il proprio cerchio [navale] attorno alla guerra russo-giapponese", nel 1904 fino al 1905. [6]

All’epoca della guerra russo-giapponese tra Stati Uniti e Gran Bretagna si era già formata l’alleanza anglo-americana, come osserva Mackinder:

"Questi fatti accaddero circa vent’anni fa [nel 1898] con tre grandi vittorie riportate dalla flotta britannica senza sparare un solo colpo di cannone. La prima fu a Manila [nelle Filippine], nell’Oceano Pacifico, quando uno squadrone tedesco minacciò di intervenire per proteggere uno squadrone spagnolo [nella guerra ispano-americana], che fu sconfitto da uno squadrone americano, e uno squadrone britannico fu al fianco degli americani". [7]

Per citare Mackinder, "Questo fu dunque il primo passo verso la riconciliazione degli animi britannico e americano". [8] Fu anche il momento storico in cui gli Stati Uniti divennero una delle principali potenze imperialiste.

Andrebbe anche osservato che secondo alcuni storici la guerra ispano-americana si sarebbe scatenata sulla base di un falso pretesto. Il governo degli Stati Uniti dichiarò guerra incolpando gli spagnoli di aver affondato la USS Maine a Cuba: di qui la frase che fu usata per raccogliere il consenso dell’opinione pubblica americana contro gli spagnoli, "Ricordate la Maine!"

La seconda guerra mondiale: mettere i sovietici contro i tedeschi

La strategia di mettere i principali attori eurasiatici uno contro l’altro continuò nella seconda guerra mondiale. La Germania, la Francia e l’Unione Sovietica furono messe le une contro le altre proprio come era successo con la Germania, la Russia zarista e l’Impero Ottomano prima della prima guerra mondiale.

Lo dimostra il fatto che la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra solo alla Germania mentre sia la Germania che l’URSS invasero la Polonia nel 1939. I Patti di Locarno e il Piano Hoare-Laval furono usati dal governo britannico per spingere i tedeschi a est, dove si sarebbero scontrati con i sovietici, neutralizzando la Francia e permettendo alla Germania di militarizzarsi, con il governo di Neville Chamberlain che promosse l’appeasement come mossa calcolata per liquidare qualsiasi stato tra la Germania e l’Unione Sovietica e creare un confine comune russo-tedesco. [9]

Sia l’Unione Sovietica che la Germania nazista erano consapevoli della politica anglo-americana. Entrambi i paesi firmarono prima della seconda guerra mondiale un patto di non-aggressione soprattutto per rispondere all’atteggiamento anglo-americano. Alla fine l’alleanza tra URSS e Germania si disgregò per la sfiducia reciproca. Oggi il governo statunitense sta impiegando le stesse strategie con la Russia, la Cina, l’Iran, l’India e altri attori eurasiatici.

Le radici della balcanizzazione strategica: prevenire l’unificazione dell’Eurasia

Mackinder stabilì che l’Heartland eurasiatico cominciava nell’Europa Orientale e alle frontiere della Germania. Proprio l’Europa Orientale poteva fare da punto d’appoggio per entrare nell’entroterra eurasiatico.

La maggiore paura di Londra, fino alla divisione dell’Austria-Ungheria e la creazione di una zona-cuscinetto tra i tedeschi e i russi con la nascita di vari nuovi stati dopo il 1918, era l’unificazione dei tedeschi e degli slavi in un un’unica entità eurasiatica.

La politica britannica di balcanizzazione era una sinergia tra politica coloniale, politica di potere, economia e osservazione storica.

La balcanizzazione strategica probabilmente giunse a maturazione quando l’Italia e la Germania divennero stati-nazione unificati e i britannici compresero i pericoli che potevano rappresentare stati europei forti e centralizzati. Ancora una volta fu l’economia la forza dominante. Prima di allora la balcanizzazione era stata usata a fini coloniali. Dopo la formazione, o meglio unificazione, della Germania e dell’Italia, la balcanizzazione divenne anche uno strumento per neutralizzare i potenziali rivali della Gran Bretagna.

Si dice che František Palacký, lo storico ceco, abbia affermato: "Se l’Austria [intendendo l’Impero asburgico o Austro-Ungarico] non esistesse, sarebbe necessario inventarla, nell’interesse dell’umanità".
È un’affermazione importante, perché Palacký era uno slavo che difendeva l’Impero Austro-Ungarico sulla base delle sue caratteristiche multietniche. L’Impero asburgico era una sintesi regionale di tedeschi, ungheresi (magiari) e slavi. L’Impero Austro-Ungarico, come la Jugoslavia che sarebbe sorta dalle sue ceneri, era anche religiosamente composito. All’interno dei suoi confini vivevano cristiani, ebrei e musulmani, e nel 1912 l’Islam divenne religione di stato accanto alla religione cattolica. I britannici temevano che questo modello sotto la guida della potenza industriale tedesca potesse estendersi fino a comprendere Germania, Austria-Ungheria e Russia zarista, creando così una potente entità politica slavo-tedesca nell’Heartland eurasiatico. [10] La sintesi era già in atto, a comprendere anche l’Impero Ottomano, finché la prima guerra mondiale non la bloccò. Come è già stato detto, questo processo faceva parte di una fusione storica. Dal punto di vista di Londra l’Austria-Ungheria doveva essere smantellata per impedire qualsiasi processo di unificazione tra i continentali.
A tal fine furono usati e manipolati i movimenti nazionalisti separatisti. Alcuni leader cecoslovacchi, come Milan Rastislav Štefánik, combatterono per i francesi e i britannici durante la prima guerra mondiale. Andrebbe anche osservato che nel settembre del 1918 il governo degli Stati Uniti riconobbe la Cecoslovacchia prima ancora che fosse creata, e che l’Accordo di Pittsburgh, che apriva la strada alla dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico e alla creazione della Cecoslovacchia, fu firmato in Pennsylvania con l’appoggio dei governi britannico e statunitense. Furono anche formate tre legioni "cecoslovacche" che combatterono contro la Germania e l’Impero asburgico al fianco della Gran Bretagna e della Francia nella prima guerra mondiale.

Ridisegnare l’Europa Orientale e il Medio Oriente: un modello per l’Iraq

Dai tempi della prima guerra mondiale si è fatto di tutto per alimentare l’instabilità, dal Kosovo nei Balcani alla provincia di Xinjiang che costituisce la frontiera occidentale della Cina. È un fatto importante dimostrato da eventi come la divisione dell’India o quella della Jugoslavia.

La giustificazione logica per la creazione di nuovi stati nell’Europa Orientale viene anch’essa spiegata da Mackinder:

"Le nazioni polacca e boema [ceca e slovacca] non potranno godere di una sicura indipendenza a meno che non si trovino all’apice di un ampio cuneo di indipendenza che si estenda dall’Adriatico e dal Mar Nero fino al Baltico; ma sette stati indipendenti, con più di sessanta milioni di abitanti complessivi, attraversati da ferrovie che li colleghino in modo sicuro tra loro, e con un accesso all’Oceano [Atlantico] attraverso i mari Adriatico, Nero e Baltico, controbilanceranno efficacemente i tedeschi di Prussia [intendendo la Germania] e d’Austria, e niente di meno basterà a quello scopo". [11]

Benché la Boemia comprenda propriamente i cechi, in questo caso Mackinder la usa per intendere sia i cechi che gli slovacchi della Cecoslovacchia.

Nel 1914 i tedeschi si erano già assicurati una significativa avanzata nell’Impero Ottomano. Anche l’Impero Ottomano andava smantellato. Tuttavia, secondo gli strateghi britannici, erano la Russia e la Germania i due principali avversari a lungo termine. Per minare il processo di unificazione tra i tedeschi e i russi bisognava creare una zona di conflitto in Europa Orientale tra la Germania e la Russia.

Dopo la prima guerra mondiale, gli strateghi anglo-americani pianificarono che l’Unione Sovietica, sorta dalle ceneri della Russia zarista, avrebbe sostituito la Germania come principale attore eurasiatico. La creazione di una zona di conflitto attorno alla porzione occidentale dell’Unione Sovietica dal Baltico ai Balcani e al Golfo Persico divenne per i britannici un obiettivo strategico. È uno dei motivi per cui furono create così tante nazioni nell’Europa Orientale e in Medio Oriente dopo la prima guerra mondiale e ancora nell’Europa Orientale e nell’Asia Centrale dopo la guerra fredda.

Quando cominciarono a considerare la strategia globale in un’ottica olistica, gli strateghi anglo-americani adottarono il concetto di accerchiamento transcontinentale.

Il Rimland è l’idea di un’area geografica posizionata accanto o attorno all’Heartland eurasiatico. L’Europa Occidentale, l’Europa Centrale, il Medio Oriente, il subcontinente indiano, il Sud-Est asiatico e l’Estremo Oriente comprendono quest’area dall’Eurasia Occidentale a quella Orientale. Il Rimland di Nicholas Spykman contribuisce a fornire un contesto storico e obiettivo alle attuali zone di conflitto che circondano la Russia, la Cina e l’Iran a partire dai Balcani, dalle aree curde del Medio Oriente, dall’Iraq, dal Caucaso e passano per l’Afghanistan presidiato dalla NATO, il Kashmir, l’Indo-Cina, per finire nella penisola coreana. Le posizioni geografiche di queste aree la dicono lunga su quali siano i paesi o gli attori che subiscono l’attività di disturbo.

L’Iraq viene ridisegnato passo dopo passo, ma innanzitutto nel suo paesaggio politico e con un un sistema di federalismo morbido. Questa concezione olistica si sta rafforzando e i progetti di difesa missilistica in Europa e in Asia sono collegati a questo approccio, come lo è la politica del rischio calcolato di creare un’alleanza militare globale dominata dagli americani.

La tesi di Pirenne

Nel suo libro, Maometto e Carlo Magno, lo storico belga Henri Pirenne afferma che Carlo Magno e l’Impero Franco non sarebbero mai esistiti senza l’espansione araba nella regione del Mediterraneo. Henri Pirenne divenne noto per la tesi secondo la quale i barbari germanici, così come i franchi e i goti, ai quali gli storici tradizionalmente attribuivano il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, in realtà si fusero con l’Impero Romano e i modelli economici e istituzionali di Roma rimasero intatti. Pirenne sfidò l’interpretazione storica tradizionale secondo la quale i barbari germanici furono la ragione del declino di Roma.

Le basi della teoria di Pirenne sembrano giuste. Nella maggioranza dei casi i costumi e le istituzioni di Roma furono mantenuti dai regni germanici. Il fatto che i franchi, un popolo germanico, adottarono il latino (che nel tempo si trasformò nella lingua francese) o che la Chiesa romana conservò intatto il suo ruolo di importante istituzione della comunità confermerebbe le sue osservazioni e le sue tesi. Il declino di Roma fu molto probabilmente causato dalla fine di un’economia basata in gran parte sull’espansione imperiale, lo schiavismo, l’eccessiva militarizzazione e la corruzione politica. Il declino dell’economia dell’Europa occidentale non avvenne perché gli arabi non volevano continuare a commerciare con l’Occidente, ma a causa del militarismo e del decentramento che lo accompagnò di pari passo; il risultato finale essendo il feudalesimo europeo. Oggi questo processo si sta ripetendo?
Secondo Pirenne era evidente che la struttura economica dell’Impero Romano, d’Occidente e d’Oriente (Bizantino), si incentrava sull’economia e il commercio del Mediterraneo. Roma si trasformò da entità politicamente centralizzata a una rete di regni e stati politicamente separati, ma la struttura economica basata sul Mediterraneo rimase intatta.

Pirenne teorizzò che il vero declino dell’entità di Roma fu causato dalla rapida espansione degli arabi. Il Levante, l’Egitto, varie isole del Mediterraneo, parti dell’Anatolia (Asia Minore), la Spagna, il Portogallo, la Libia, la Tunisia, l’Algeria e il Marocco, che erano tutte regioni mediterranee, furono incorporate all’interno del vasto regno cosmopolita arabo. Secondo Pirenne, la ragione del declino va cercata nell’interruzione da parte degli arabi dei legami tra le economie integrate dell’Europa Occidentale e del Mediterraneo. L’Europa Occidentale di fatto degenererà in una periferia economica marginalizzata.

Un altro fattore che andrebbe aggiunto alla teoria di Pirenne sul declino economico dell’Europa Occidentale dopo la caduta di Roma fu che la Roma d’Oriente (Bisanzio) deviò i propri traffici dall’Europa Occidentale, o li ridusse, a causa delle realtà economiche derivanti dall’espansione araba nel Mediterraneo. La dissoluzione dei legami economici tra Europa Occidentale e Bisanzio fu dovuta anche alle differenze e ai conflitti tra la Chiesa cristiana d’Occidente e la Chiesa cristiana d’Oriente. C’era animosità anche tra le autorità di Costantinopoli e quelle dell’Europa Occidentale, e anch’essa influenzò i legami economici. Queste tensioni in molti casi avevano semplicemente un’origine economica.

La tesi di Pirenne afferma che l’Europa Occidentale si trasformò in una serie di economie a base rurale, cosa che diede gradualmente origine al feudalesimo, a causa dell’espansione araba. Le materie prime venivano esportate e le importazioni diminuirono, mentre prima l’Europa Occidentale aveva importato prodotti e risorse come i metalli preziosi e il papiro egiziano. Questo accadde perché l’economia dell’Europa Occidentale era tagliata fuori dal resto del mondo. I viaggi di scoperta degli europei che furono compiuti in seguito possono anch’essi essere ricondotti a questa fase, come mezzi per invertire la tendenza.

Gli eurasiatici passano all’attacco: la nuova strada della seta

Oggi in tutta l’Eurasia c’è un nuovo impulso verso l’integrazione e la cooperazione socio-politica ed economica. La Strada della Seta sta rinascendo. L’Iran, la Russia e la Cina sono le forze più importanti di questo progetto. Anche il Kazakistan ha un ruolo molto importante. Reti ferroviarie, corridoi di comunicazione, reti elettriche e varie forme di infrastrutture sono in fase di sviluppo, connessione e costruzione nell’ottica di integrare l’Eurasia.
L’Asia Centrale è destinata a diventare l’asse mediano e il fulcro di una serie di corridoi nord-sud ed ovest-est. Un triangolo strategico tra Russia, Iran e Cina delimiterà una zona di commercio eurasiatica che potrà attirare nella propria orbita l’Africa e zone d’Europa. L’America Latina ha già previsto questo cambiamento e si prepara a dirottare parte dei suoi scambi commerciali dagli Stati Uniti e dall’Europa verso quest’area.

La Cina è un centro globale della forza lavoro mentre la Russia, l’Iran e l’Asia Centrale dispongono del 15% delle riserve mondiali di petrolio e del 50% delle riserve mondiali di gas naturale. La Shanghai Cooperation Organization (SCO) conta la metà della popolazione stimata del pianeta. Queste aree dispongono inoltre di vasti e importanti mercati.

L’Eurasia si sta compattando in un’ondata di integrazione regionale e di traffici commerciali. La Russia e il Kazakistan hanno anche avanzato la proposta di formare un’Unione Eurasiatica. L’unione doganale tra Russia, Belorussia e Kazakistan è un passo verso l’Unione Eurasiatica. L’Iran ha anche proposto la formazione di una cosiddetta Unione Islamica tra le nazioni abitate da popolazioni musulmane.

Tutto ciò è di fatto una reintroduzione della tesi di Pirenne in un contesto moderno. In questa seconda fase del ciclo di Pirenne sono le economie dell’Europa Occidentale e degli Stati Uniti, che dipendono dal commercio, ad assumere il ruolo della periferia eurasiatica e dei regni marittimi che corrono il rischio di essere marginalizzati come lo fu la Roma d’Occidente durante l’espansione araba nel Mediterraneo. Gli eurasiatici stanno passando all’attacco; capiscono che non sono loro ad aver bisogno degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, ma che è l’esatto contrario.

Un’Unione Mediterranea e un’Unione Islamica: l’Occidente contro l’Heartland eurasiatico

Riflettendo sulla tesi di Pirenne, è anche non storicamente ironico che l’Unione Europea stia spingendo per la creazione di un’Unione Mediterranea, che unirebbe economicamente le nazioni del Mediterraneo e dell’Unione Europea con Israele e Turchia in ruoli chiave. È una risposta occidentale alla crescente forza e coesione dell’Heartland eurasiatico formato da Russia, Iran e Cina.

Per contrastare questa tendenza la Russia, la Cina e l’Iran hanno cominciato a corteggiare le nazioni del Mediterraneo. Dopo il viaggio di Nicholas Sarkozy in Algeria, durante una serie di visite tese a promuovere la creazione di un’Unione Mediterranea, una delegazione iraniana guidata da Mahmoud Ahmadinejad ha presentato una contro-proposta per la creazione di un blocco alternativo; che è quello che gli iraniani hanno chiamato Unione Islamica.

L’Unione Islamica è essenzialmente un progetto economico rivale dell’Unione Mediterranea nelle terre mediterranee del Nord Africa e del Medio Oriente, più che l’istituzionalizzazione dell’Islam in questi stati. Indubbiamente la proposta iraniana deve godere del supporto ufficioso di Mosca. È più che probabile che l’Unione Islamica sarà legata in qualche forma all’Unione Eurasiatica proposta da Russia e Kazakistan. Questi blocchi regionali possono sovrapporsi e paesi come l’Iran possono ipoteticamente appartenere all’Unione Eurasiatica e a quella Islamica, come la Francia e l’Italia potrebbero far parte contemporaneamente dell’UE e dell’Unione Mediterranea. Tutto ciò fa parte anche della politica del rischio calcolato di trasformare varie regioni in entità sovranazionali e infine in entità super-nazionali che si unificherebbero con entità simili.

Il conflitto arabo-israeliano e il cosiddetto processo di pace in Medio Oriente, che essenzialmente include l’iniziativa di pace araba proposta dall’Arabia Saudita nel 2002, sono connessi con il progetto economico congiunto USA-UE che è l’Unione Mediterranea, che vedrà l’integrazione delle economie del mondo arabo con quella di Israele in una rete di relazioni economiche regionalizzate che alla fine unificheranno le economie d’Europa, Israele, Turchia e mondo arabo. Il progetto dell’Unione Mediterranea fu stilato anni prima della fine della guerra fredda e della disintegrazione dell’Unione Sovietica. I profondi legami tra Turchia e Israele sono stati un passo preparatorio verso la creazione di questa Unione Mediterranea con la partecipazione e il pieno coinvolgimento di Israele come uno dei suoi pilastri.

La concezione dei blocchi e la regionalizzazione: scontro orwelliano tra Oceania ed Eurasia?

Gli attori dell’Heartland eurasiatico capiscono quello che sta succedendo. Inoltre la Francia e la Germania, come l’India, vengono corteggiate dagli attori dell’Heartland eurasiatico che le incoraggiano a svincolarsi dall’asse anglo-americano. Questo probabilmente spiega perché l’euro non sia preso di mira sui mercati valutari internazionali da Iran, Russia, Venezuela e Cina come lo è il dollaro americano. O è perché l’America per questi paesi è una minaccia immediata?

Gli eurasiatici stanno lentamente saggiando il controllo dei centri finanziari occidentali sulle transazioni globali. La creazione del petro-rublo in Russia e nelle repubbliche dell’ex-URSS e l’istituzione sull’Isola di Kish di una borsa petrolifera iraniana fanno parte di questa tendenza.

In ogni caso, sembra che sia troppo tardi per porre fine all’intesa tra le parti franco-tedesca e anglo-americana. Gli interessi franco-tedeschi paiono ormai indissolubili da quelli anglo-americani. È stato raggiunto un accordo per fondere in futuro, dal punto di vista dei sistemi di scambio, le economie dell’UE e del Nord America nell’interesse di Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Germania. [12] Questo accordo consentirà anche alle quattro principali potenze del cosiddetto mondo occidentale di sfidare l’Heartland eurasiatico in fase di fusione in un singolo potente blocco o attore geopolitico.

Ogniqualvolta nell’Heartland eurasiatico è emersa una potenza dominante si sono storicamente combattute guerre – è bastato il timore di una tale ipotesi perché si scatenasse un conflitto – per impedirne l’ascesa. Queste diverse fasi di regionalismo e di fusioni regionalizzate indicano diverse cose, ma in senso orwelliano possono significare che l’Oceania e l’Eurasia si stanno preparando a sfidarsi. [13]

Versione originale:

Mahdi Darius Nazemroaya
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=7064
3.12.07

Versione italiana:

Fonte: http://mirumir.altervista.org/
Link: http://mirumir.altervista.org/2007/12/il-grande-gioco-leurasia-e-la-storia.html
14.12.07

NOTE

Questo articolo è una continuazione di L’alleanza sino-russa: una sfida alle ambizioni americane in Eurasia e accenna al concetto dell’Unione Mediterranea che sarà trattato in un articolo successivo.

[1] Halford John Mackinder, Cap. 3 (The Seaman’s Point of View), in Democratic Ideals and Reality (London, U.K.: Constables and Company Ltd., 1919), p.91.
[2] Ibid., Cap. 4 (The Landman’s Point of View), p.121.
Note: Qusto capitolo di Democratic Ideals and Reality si basa su un saggio, Man-power as a Measure of National and Imperial Strength, che Mackinder scrisse per la National Review (UK) nel 1905. Va anche notato che Mackinder e altri ambienti londinesi consideravano le grandi popolazioni della Germania, dell’Austria-Ungheria e della Russia zarista delle minacce da contrastare. Se si leggono le opere complete di Mackinder si giungerà alla conclusione che propendeva per una sorta di darwinismo sociale tra le nazioni e vedeva l’idealismo democratico come qualcosa che andrebbe accantonato per preservare l’ordine imperiale britannico. Mackinder giunge a dire che il commercio britannico si basava sull’uso dei cannoni e della forza (Cap. 5, pp.187-188).
[3] Ibid., p.142.
[4] Lonnie R. Johnson, Central Europe: Enemies, Neighbors, Friends, 2nd ed. (Oxford, U.K.: Oxford University Press, 2002), pp. 37-42.
[5] Mackinder, Democratic Ideals, Op. cit., Cap. 5 (The Rivalry of Empires), pp.160-161.
[6] Ibid., Cap. 3, p.78.
[7] Ibid., pp.77-78.
[8] Ibid., p.78.
[9] Carroll Quigley, The Anglo-American Establishment: From Rhodes to Cliveden (San Pedro, California: GSG & Associates Publishers, 1981), pp. 233-235, 237-248, 253, 264-281, 285-302. "… dal 1920 al 1938 [gli obiettivi furono] gli stessi: mantenere l’equilibrio del potere in Europa mettendo la Germania contro la Francia e [l’Unione Sovietica]; accrescere il peso della Gran Bretagna in quell’equilibrio allineando al suo fianco i Domini [per esempio, l’Australia e il Canada] e gli Stati Uniti; respingere qualsiasi coinvolgimento (specie attraverso la Lega delle Nazioni, e soprattutto in aiuto della Francia) oltre a quelli esistenti nel 1919; mantenere la libertà d’azione britannica; spingere la Germania verso est contro [l’Unione Sovietica] se una delle due potenze (o entrambe) diviene una minaccia per la pace [intendendo probabilmente il potere economico] dell’Europa Occidentale (p.240)"
"… gli accordi di Locarno prevedevano una garanzia collettiva delle frontiere francese e belga con la Germania e furono firmati dai tre paesi più la Gran Bretagna e l’Italia nel ruolo di potenze garanti. In realtà il patto non concedeva nulla alla Francia, mentre dava alla Gran Bretagna il veto sull’adempimento francese delle alleanze con la Polonia e la Piccola Intesa. I francesi accettarono questi documenti ingannevoli per ragioni di politica interna (…) Questa trappola [gli accordi di Locarno] era costituita da vari fattori interconnessi. In primo luogo, gli accordi non garantivano la frontiera tedesca e la smilitarizzazione della Renania contro azioni tedesche, ma contro le azioni di Germania o Francia. Ciò, in un colpo solo, dava alla Gran Bretagna il diritto di opporsi a qualsiasi azione francese contro la Germania a supporto dei suoi alleati a est della Germania. Significava che se la Germania si muoveva verso est contro la Cecoslovacchia, la Polonia e infine [l’Unione Sovietica], e se la Francia attaccava la frontiera occidentale della Germania in appoggio alla Cecoslovacchia e alla Polonia, com’era tenuta a fare in base alle sue alleanze, la Gran Bretagna, il Belgio e l’Italia potevano essere costrette dagli accordi di Locarno ad andare in aiuto della Germania (p.264)."
"L’evento del marzo del 1936, cioè la rimilitarizzazione della Renania da parte di Hitler, fu l’evento più significativo di tutta la storia dell’appeasement. Finché i territori a ovest del Reno e una striscia larga cinquanta chilometri sulla sponda orientale del fiume fossero rimasti smilitarizzati, come previsto dal Trattato di Versailles e dagli Accordi di Locarno, Hitler non avrebbe mai osato attaccare Austria, Cecoslovacchia e Polonia. Non avrebbe osato perché, con la Germania indifesa e priva di soldati, la Francia avrebbe potuto facilmente entrare nell’area industriale della Ruhr paralizzando la Germania e impedendole di andare verso est. E già allora [1936], certi membri del Milner Group e del governo conservatore britannico avevano già elaborato la fantastica idea di poter prendere due piccioni con una fava mettendo la Germania e [l’Unione Sovietica] l’una contro l’altra. Pensavano così che due nemici si sarebbero tenuti reciprocamente in scacco, o che la Germania si sarebbe accontentata del petrolio della Romania e del grano dell’Ucraina. A nessuno di coloro che occupavano posizioni di responsabilità venne mai in mente che la Germania e [l’Unione Sovietica] potessero fare fronte comune, anche solo temporaneamente, contro l’Occidente. Tanto meno capitò loro di pensare che [l’Unione Sovietica] potesse battere la Germania e aprire tutta l’Europa Centrale al bolscevismo (p.265).”
"Per mettere in atto il piano di permettere alla Germania di andare a est contro [l’Unione Sovietica], era necessario fare tre cose: (1) liquidare tutti i paesi che stavano tra la Germania e la Russia; (2) impedire alla Francia di onorare le sue alleanze con questi paesi [cioè la Cecoslovacchia e la Polonia]; e (3) ingannare il popolo [britannico] per far sì che accettasse tutto questo come una necessaria, anzi l’unica, soluzione al problema internazionale. Il gruppo Chamberlain riuscì così bene in tutte e tre le cose che fu sul punto di aver successo, e fallì solo per l’ostinazione dei Polacchi, la fretta indecente di Hitler, e il fatto che all’ultimo momento il Milner Group si rese conto delle implicazioni [geo-strategiche] della sua politica e tentò un’inversione di rotta (p.266)." "Quattro giorni dopo, Hitler annunciò il riarmo della Germania, e dopo altri dieci giorni la Gran Bretagna condonò l’azione mandando Sir John Simon in visita di stato a Berlino. Quando la Francia tentò di controbilanciare il riarmo della Germania portando l’Unione Sovietica nel suo sistema di alleanze orientali nel maggio del 1935, i britannici risposero formando l’Accordo Navale anglo-tedesco del 18 giugno 1935. Questo accordo, concluso da Simon, permetteva alla Germania di possedere una flotta purché limitata al 35% di quella britannica (e fino al 100% nel caso dei sottomarini). Per la Francia fu una mortale pugnalata alle spalle, perché dava alla Germania una marina notevolmente più grande di quella francese nelle categorie importanti (navi da guerra e portaerei), perché la Francia per trattato doveva attenersi al limite del 33%; e la Francia aveva anche un impero mondiale da proteggere e la marina italiana nemica nel Mediterraneo. Questo accordo mise la flotta francese in Atlantico talmente in balia della marina tedesca che la Francia dovette dipendere completamente dalla flotta britannica per avere protezione in quest’area (pp.269-270)".
"La liquidazione dei paesi tra la Germania e [l’Unione Sovietica] poté cominciare non appena la Renania fu rimilitarizzata, senza che la Germania dovesse temere che la Francia fosse in grado di attaccarla a ovest mentre era impegnata a est (p.272)".
"I paesi destinati a essere liquidati comprendevano l’Austria, la Cecoslovacchia e la Polonia, ma non la Grecia e la Turchia, poiché il Gruppo [Milner] non aveva alcuna intenzione di permettere alla Germania di scendere verso la vitale linea del Mediterraneo. Anzi, lo scopo del Piano Hoare-Laval del 1935, che distrusse il sistema di sicurezza collettiva cercando di cedere gran parte dell’Etiopia all’Italia, era quello di fare concessioni all’Italia e posizionarla al fianco della [Gran Bretagna], per bloccare il movimento a sud della Germania invece che a est [verso l’Unione Sovietica] (p.273).”
[10] Mackinder, Democratic Ideals, Op. cit., Cap. 5, pp.160-168.
[11] Ibid., Cap. 6 (The Freedom of Nations), pp. 214-215.
[12] US and EU agree ‘single market,’ British Broadcasting Corporation (BBC), 30 Aprile 2007.
[13] Questa ultima affermazione andrebbe letta criticamente e il livello di cooperazione tra entrambe le parti dovrebbe essere attentamente esaminato.
   

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=4059

Tuesday, October 02, 2007
L’alleanza sino-russa, di Mahdi Darius Nazemroaya
L’alleanza sino-russa: una sfida alle ambizioni americane in Eurasia

Mahdi Darius Nazemroaya

Global Research, 23 settembre 2007

Ma se lo spazio intermedio [la Russia e l’ex Unione Sovietica] respinge l’Occidente [l’Unione Europea e l’America], diventa una singola entità assertiva e stabilisce il proprio controllo sul Sud [il Medio Oriente] o si allea con il principale attore orientale [la Cina], il primato dell’America in Eurasia si restringe drammaticamente. Lo stesso accadrebbe se i due principali attori orientali si coalizzassero in qualche modo. Infine, un’estromissione dell’America da parte dei suoi partner occidentali [l’intesa franco-tedesca] dalla sua posizione di vantaggio sulla periferia occidentale [l’Europa] segnerebbe automaticamente l’esclusione dell’America dalla partita in corso sulla scacchiera eurasiatica, anche se comporterebbe anche la subordinazione dell’estremità occidentale a un protagonista che occupa lo spazio intermedio e che è tornato alla ribalta [per esempio la Russia].
Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, 1997 (La grande scacchiera: la supremazia americana e i suoi imperativi geo-strategici)

La Terza Legge del Moto di Sir Isaac Newton afferma che "a ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria". Questi principi della fisica possono essere applicati anche alle scienze sociali, con particolare riferimento alle relazioni sociali e alla geopolitica.

L’America e la Gran Bretagna, l’alleanza anglo-americana, hanno intrapreso un progetto ambizioso per controllare le risorse energetiche globali. Le loro azioni hanno prodotto una serie di complicate reazioni, portando alla creazione di una coalizione eurasiatica che si sta preparando a sfidare l’asse anglo-americano.

L’accerchiamento della Russia e della Cina: le ricadute delle ambizioni globali anglo-americane
"Oggi stiamo assistendo a un uso quasi incontenibile e ipertrofico della forza negli affari internazionali, di una forza militare che sta spingendo il mondo in un abisso fatto di un conflitto dopo l’altro. Ne consegue che non abbiamo le capacità sufficienti per trovare una soluzione articolata ad alcuno di questi conflitti. Trovare una soluzione politica diventa ugualmente impossibile. Stiamo osservando un disprezzo sempre maggiore dei principi basilari della legge internazionale. E le norme legali indipendenti si stanno di fatto sempre più avvicinando al sistema legale di un unico stato, e precisamente gli Stati Uniti, i quali hanno varcato i propri confini nazionali in tutte le sfere".
Vladimir Putin alla Conferenza di Monaco sulla Sicurezza (11 febbraio 2007)

Ciò che i leader americani chiamavano "Nuovo Ordine Mondiale" è ciò che la Cina e la Russia considerano un "Mondo Unipolare". Questa è la visione o allucinazione, a seconda della prospettiva, che ha colmato il divario tra Pechino e Mosca.

La Cina e la Russia sono ben consapevoli di essere il bersaglio dell’alleanza anglo-americana. Sono unite dai comuni timori di un accerchiamento. Non è un caso che lo stesso anno in cui la NATO bombardò la Jugoslavia il presidente cinese Jiang Zemin e quello russo Boris El’cin avessero anticipato una dichiarazione comune durante lo storico vertice del dicembre del 1999 rivelando che la Cina e la Federazione russa avrebbero unito le forze per resistere al "Nuovo Ordine Mondiale". I semi di questa dichiarazione sino-russa erano stati di fatto gettati nel 1996, quando le due potenze si opposero all’imposizione globale dell’egemonia di un unico stato.

Sia Jiang Zemin che Boris El’cin dichiararono che tutti gli stati-nazione hanno diritto allo stesso trattamento, devono poter godere della sicurezza e rispettare la reciproca sovranità ma soprattutto non intromettersi negli affari interni degli altri stati-nazione. Queste dichiarazioni erano dirette al governo degli Stati Uniti e ai suoi alleati.

I cinesi e i russi sollecitarono inoltre la creazione di un ordine globale politico ed economico più equo. Entrambe le nazioni indicarono poi che l’America si celava dietro i movimenti separatisti dei loro rispettivi paesi. Sottolinearono anche le ambizioni ispirate dagli americani di balcanizzare e finlandizzare gli stati-nazione eurasiatici. Influenti politologi americani come Zbigniew Brzezinski avevano già auspicato una decentralizzazione e infine divisione della Federazione Russa.

Sia i cinesi, sia i russi diffusero una dichiarazione in cui mettevano in guardia contro la creazione di uno scudo missilistico internazionale e la violazione del Trattato Anti-Missili Balistici (Trattato ABM), che avrebbero destabilizzato l’ambiente internazionale e polarizzato il mondo. Nel 1999 i cinesi e i russi erano consapevoli di ciò che sarebbe successo e della direzione che l’America stava prendendo. Nel giugno del 2002, meno di un anno prima dello scatenarsi della "Guerra globale contro il Terrore", George W. Bush Jr. annunciò che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati dal Trattato ABM.

Il 24 luglio del 2001, meno di due mesi prima dell’11 settembre, Cina e Russia firmarono il Trattato di Buon Vicinato, Amicizia e Cooperazione. Quest’ultimo è in realtà un patto di mutua difesa contro gli Stati Uniti, la NATO e la rete militare asiatica appoggiata dagli Stati Uniti che circondava la Cina. [1]

Il patto militare della Shanghai Treaty Organization (SCO) adotta le stesse formule velate. Vale anche la pena di notare che l’Articolo 12 del trattato bilaterale sino-russo del 2001 stipula che la Cina e la Russia collaboreranno per mantenere l’equilibrio strategico globale, "osservare gli accordi basilari rilevanti per la salvaguardia e la conservazione della stabilità strategica" e "promuovere il processo di disarmo nucleare". [2] Questo sembra alludere a una minaccia nucleare rappresentata dagli Stati Uniti.

Mettere i bastoni tra le ruote all’America e alla Gran Bretagna: una "Coalizione Cina-Russia-Iran"
Come risultato del proposito anglo-americano di accerchiare e infine smantellare la Cina e la Russia, Mosca e Pechino hanno serrato i ranghi e la SCO si è lentamente sviluppata fino a diventare un potente corpo internazionale nel cuore dell’Eurasia.

Il principali obiettivi della SCO sono di natura difensiva. Gli obiettivi economici consistono nell’integrare e unificare le economie eurasiatiche contro l’attacco economico e finanziario sferrato dalla trilaterale costituita da Nord America, Europa Occidentale e Giappone, che controlla porzioni significative dell’economia globale.

Lo Statuto della SCO, facendo uso del gergo occidentale della sicurezza nazionale, si propone di combattere "il terrorismo, il separatismo e l’estremismo". Le attività terroristiche, i gruppi separatisti e i movimenti estremisti in Russia, Cina e Asia Centrale sono tutte forze tradizionalmente alimentate, finanziate, armate e segretamente appoggiate dai governi britannico e statunitense. Diversi gruppi separatisti ed estremisti che hanno destabilizzato paesi membri della SCO hanno perfino sedi a Londra.

L’Iran, l’India, il Pakistan e la Mongolia sono tutti membri della SCO. Lo status di osservatore dell’Iran nell’Organizzazione è fuorviante: l’Iran è un membro de facto. Lo status di osservatore mira a celare la natura della cooperazione trilaterale tra Iran, Russia e Cina per evitare che la SCO possa essere etichettata e demonizzata come coalizione militare anti-americana o anti-occidentale.

Gli interessi dichiarati di Cina e Russia consistono nell’assicurare la continuità di un "Mondo Multipolare". Zbigniew Brzezinski nel suo libro del 1997 The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, prefigurò e lanciò un monito contro la creazione o "comparsa di una coalizione ostile [con base in Eurasia] in grado di sfidare la supremazia americana". [3] Definì inoltre questa potenziale coalizione eurasiatica un’"alleanza anti-egemonica" che si sarebbe formata sulla base di una "coalizione sino-russo-iraniana" che avrebbe avuto la Cina come fulcro. [4] Questi sono la SCO e i diversi gruppi eurasiatici ad essa collegati.

Nel 1993 Brzezinski scrisse che "Nello stimare le future opzioni della Cina bisogna anche considerare la possibilità che una Cina economicamente vincente e politicamente sicura di sé – ma che si sentisse esclusa dal sistema globale e decidesse di sostenere e guidare gli stati svantaggiati – possa decidere di lanciare una sfida non solo chiaramente dottrinale ma anche potentemente geopolitica al mondo trilaterale dominante [riferimento al fronte economico formato da America del Nord, Europa Occidentale e Giappone]". [5]

Brzezinski avverte che la risposta di Pechino alla sfida allo status quo globale sarebbe la creazione di una coalizione sino-russo-iraniana: "Per gli strateghi cinesi la mossa geopolitica più efficace per contrastare la coalizione di America, Europa e Giappone sarebbe la formazione di una tripla alleanza che unisse la Cina all’Iran nella regione del Golfo Persico/Medio Oriente e alla Russia nell’area dell’ex Unione Sovietica [ed Europa Orientale]". [6] Brzezinski prosegue dicendo che la coalizione sino-russo-iraniana, che chiama anche "coalizione contro il sistema costituito", potrebbe diventare una potente calamita per altri stati [come il Venezuela] insoddisfatti dello status quo [globale]". [7]

Inoltre Brzezinski nel 1997 ammoniva che "L’obiettivo più immediato [per gli Stati Uniti] consiste nell’assicurarsi che nessuno stato o insieme di stati acquisisca la capacità di espellere gli Stati Uniti dall’Eurasia o anche semplicemente di diminuire in misura significativa il loro decisivo ruolo arbitrale". [8] Forse il suo monito è stato dimenticato, perché gli Stati Uniti sono stati estromessi dall’Asia Centrale e le loro truppe sfrattate dall’Uzbekistan e dal Tagikistan.

Le ricadute delle "Rivoluzioni di Velluto" nell’Asia Centrale
L’Asia Centrale ha assistito a vari tentativi di cambio di regime appoggiati dai britannici e dagli americani. Questi tentativi sono stati caratterizzati da rivoluzioni di velluto simili alla Rivoluzione Arancione in Ucraina e alla Rivoluzione delle Rose in Georgia.

Nell’Asia Centrale queste rivoluzioni di velluto finanziate dagli Stati Uniti hanno fallito, con l’eccezione del Kirghizistan dove c’era stato un parziale successo con la cosiddetta Rivoluzione dei Tulipani.

Di conseguenza il governo degli Stati Uniti ha incassato pesanti sconfitte geopolitiche in Asia Centrale. Tutti i leader centro-asiatici hanno preso le distanze dall’America.

Russia e Iran si sono anche assicurati contratti energetici nella regione. Gli sforzi decennali dell’America per esercitare un ruolo egemonico nell’Asia Centrale sono stati ribaltati da un giorno all’altro. Le rivoluzioni finanziate dagli Stati Uniti hanno prodotto delle ricadute. Ne sono rimaste danneggiate in particolare le relazioni tra l’Uzbekistan e gli Stati Uniti.

L’Uzbekistan si trova sotto il controllo autoritario del presidente Islam Karimov. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, il presidente Karimov fu convinto con le lusinghe a condurre l’Uzbekistan nell’alveo dell’alleanza anglo-americana e della NATO. Quando ci fu un attentato contro di lui, Karimov sospettò che il Cremlino volesse punirlo proprio per questa sua indipendenza. Questo portò all’uscita dell’Uzbekistan dalla CSTO [l’Organizzazione per il Trattato sulla Sicurezza Collettiva, n.d.T.]. Ma anni dopo Islam Karimov cambiò idea sui reali responsabili dell’attentato.

Secondo Zbigniew Brzezinski l’Uzbekistan costituiva un importante ostacolo per il ristabilimento del controllo russo sull’Asia Centrale ed era praticamente invulnerabile alle pressioni russe; ecco perché era importante assicurarsi che l’Uzbekistan diventasse un protettorato americano nell’Asia Centrale.

L’Uzbekistan è anche lo stato militarmente più forte dell’Asia Centrale. Nel 1998 ospitò sul suo suolo le esercitazioni militari della NATO. L’Uzbekistan si stava pesantemente militarizzando, come la Georgia nel Caucaso. Gli Stati Uniti diedero all’Uzbekistan ingenti aiuti finanziari per sfidare il Cremlino in Asia Centrale e fornirono anche un addestramento all’esercito uzbeko.

Quando nel 2001 fu lanciata la "Guerra Globale contro il Terrore" l’Uzbekistan, alleato degli anglo-americani, offrì immediatamente agli Stati Uniti la base di Karši-Chanabad.

Il governo dell’Uzbekistan sapeva già quale direzione avrebbe preso la "Guerra Globale contro il Terrore". Irritando l’amministrazione Bush, il presidente uzbeko formulò una politica indipendente. La luna di miele tra l’Uzbekistan e l’alleanza anglo-americana finì quando Washington e Londra presero in considerazione la deposizione di Islam Karimov. Era un po’ troppo indipendente per i loro gusti. Il tentativi di deporlo fallirono, causando uno spostamento delle alleanze geopolitiche.

I tragici eventi del 13 maggio 2005 ad Andijan segnarono la rottura tra l’Uzbekistan e l’alleanza anglo-americana. La popolazione di Andijan fu spinta allo scontro con le autorità uzbeke, e il tutto finì con un pesante intervento dell’esercito che portò a un numero imprecisato di vittime.

Si disse che fossero coinvolti dei gruppi armati. I mezzi di informazione di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Europea si concentrarono soprattutto sulle violazioni dei diritti umani senza citare il ruolo occulto dell’alleanza anglo-americana. L’Uzbekistan accusò la Gran Bretagna e gli Stati Uniti di aver istigato la ribellione.

M. K. Bhadrakumar, ex ambasciatore indiano in Uzbekistan (1995-1998), ha rivelato che l’Hezbut Tahrir (HT) era uno dei partiti accusati dal governo uzbeko di aver istigato la folla ad Andijan. [9] Il gruppo stava già tentando di destabilizzare l’Uzbekistan facendo uso di tattiche violente. Il quartier generale di questo gruppo ha sede a Londra e gode dell’appoggio del governo britannico. Londra è un fulcro per l’attività di molte organizzazioni simili che promuovono interessi anglo-americani in vari paesi, compresi l’Iran e il Sudan, per mezzo di campagne di destabilizzazione. In seguito ai fatti di Andijan L’Uzbekistan ha perfino avviato una repressione nei confronti delle organizzazioni non governative straniere.

Nell’Asia Centrale l’alleanza anglo-americana ha giocato male le proprie carte. L’Uzbekistan aveva ufficialmente lasciato il GUUAM , un’organizzazione appoggiata da NATO e Stati Uniti in funzione anti-russa. Il GUUAM ridiventò pertanto GUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia) il 24 maggio 2005.

Il 29 luglio 2005 le truppe statunitensi ricevettero l’ordine di lasciare l’Uzbekistan entro sei mesi. [10] Agli americani fu letteralmente detto che non erano più i benvenuti in Uzbekistan e nell’Asia Centrale.

Anche la Russia, la Cina e la SCO si fecero sentire. Gli Stati Uniti abbandonarono la loro base aerea in Uzbekistan nel novembre del 2005.

L’Uzbekistan è rientrata nella CSTO il 26 giugno 2006 e si è riallineata ancora una volta con Mosca. Il presidente uzbeko è diventato un deciso e rumoroso sostenitore, insieme all’Iran, dell’espulsione totale degli Stati Uniti dall’Asia Centrale. [11] Diversamente dall’Uzbekistan, il Kirghizistan ha continuato a permettere agli Stati Uniti di usare la base aerea di Manas, ma con restrizioni e in un clima di incertezza. Il governo kirghizo ha anche specificato che dal Kirghizistan non dovranno partire azioni militari americane contro l’Iran.

Un significativo errore geo-strategico
Sembra che tra il 2001 e il 2002 si stesse preparando un riavvicinamento tra l’Iran e gli Stati Uniti. All’inizio della guerra globale contro il terrorismo, Hezbollah e Hamas, due organizzazioni arabe appoggiate dall’Iran e dalla Siria, furono tenute fuori dalla lista delle organizzazioni terroristiche compilata dal Dipartimento di Stato americano. L’Iran e la Siria erano anche vagamente ritratte come potenziali partner nella "Guerra Globale contro il Terrore".

In seguito all’invasione dell’Iraq, nel 2003, l’Iran espresse il proprio sostegno al governo iracheno post-Saddam. Durante l’invasione dell’Iraq i soldati americani attaccarono la milizia d’opposizione iraniana con base in Iraq, l’organizzazione Mujahedin-e Khalq (MEK/MOK/MKO). I jet iraniani attaccarono a loro volta e pressoché in contemporanea le basi della MEK.

L’Iran, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti collaborarono anche contro i talebani in Afghanistan. Vale la pena di ricordare che i talebani non furono mai alleati dell’Iran. Fino al 2000 i talebani erano stati appoggiati da Stati Uniti e Gran Bretagna, in perfetta armonia con l’esercito e l’intelligence pakistani.

I talebani furono traumatizzati e disorientati da quello che videro come un tradimento da parte di americani e britannici nel 2001 – questo alla luce del fatto che nell’ottobre del 2001 avevano dichiarato che avrebbero consegnato agli Stati Uniti Osama bin Laden, se avessero ricevuto le prove del suo presunto coinvolgimento negli attentati dell’11 settembre.

Zbigniew Brzezinski ammonì ben prima del 2001 che "Russia, Cina e Iran potrebbero allearsi solo se gli Stati Uniti fossero così miopi da contrapporsi simultaneamente a Cina e Iran". [12] L’arroganza dell’amministrazione Bush Jr. ha prodotto proprio questo atteggiamento miope.

Secondo il Washington Post, "Subito dopo la presa-lampo di Baghdad da parte delle truppe degli Stati Uniti, tre anni fa [nel 2003], da un fax dell’ufficio per il Vicino Oriente del Dipartimento di Stato uscì un insolito documento di due pagine. L’Iran proponeva un ampio dialogo con gli Stati Uniti, e il fax suggeriva che tutto era possibile, compresa una completa collaborazione sui programmi nucleari, l’accettazione dello Stato di Israele e la fine dell’appoggio iraniano ai gruppi militanti palestinesi". [13]

La Casa Bianca, impressionata da quelle che considerava "grandiose vittorie" in Iraq e in Afghanistan, decise semplicemente di ignorare la lettera, mandata dal governo svizzero per conto di Teheran attraverso canali diplomatici.

Tuttavia non fu ciò che venne erroneamente percepito come una vittoria rapida in Iraq che spinse l’amministrazione Bush a mettere da parte l’Iran. Il 29 gennaio 2002, in un importante discorso, il presidente Bush Jr. confermò che gli Stati Uniti avrebbero preso di mira anche l’Iran, che era stato aggiunto al cosiddetto "Asse del Male" con l’Iraq e la Corea del Nord. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna intendevano attaccare l’Iran, la Siria e il Libano dopo l’invasione dell’Iraq nel 2003. Nel luglio del 2003, subito dopo l’invasione, il Pentagono formulò uno scenario di guerra iniziale chiamato "Theater Iran Near Term (TIRANNT)" (Teatro Iran a Breve Termine).

A partire dal 2002 l’amministrazione Bush aveva deviato dal copione geo-strategico originario. Tra le altre cose, la Francia e la Germania furono escluse dalla spartizione del bottino della guerra in Iraq.

L’intenzione era di agire contro l’Iran e la Siria proprio come America e Gran Bretagna avevano tradito gli alleati talebani in Afghanistan. Gli Stati Uniti erano anche decisi a colpire Hezbollah e Hamas. Secondo Daniel Sobelman, corrispondente di Haaretz, nel gennaio del 2001 il governo degli Stati Uniti avvertì il Libano che gli Stati Uniti avrebbero preso di mira Hezbollah. Queste minacce dirette contro il Libano furono fatte all’inizio del mandato presidenziale di George W. Bush Jr., otto mesi prima dell’11 settembre.

Il conflitto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tra l’alleanza anglo-americana e l’intesa franco-tedesca appoggiata da Russia e Cina raffigurava bene questo scarto.

Dopo la fine della Guerra Fredda gli esperti americani di geo-strategia avevano previsto da anni che l’intesa franco-tedesca diventasse un partner nei loro piani di supremazia globale. A questo proposito Zbigniew Brzezinski aveva riconosciuto che all’intesa franco-tedesca sarebbe stato concesso uno status più elevato e che si sarebbe dovuto spartire le prede di guerra con gli alleati europei di Washington.

Alla fine del 2004 l’alleanza anglo-americana cominciò a correggere il proprio atteggiamento nei confronti della Francia e della Germania. Washington tornò al proprio copione geo-strategico originario che prevedeva un ruolo più esteso della NATO nel Mediterraneo Orientale. Alla Francia furono garantite concessioni petrolifere in Iraq.

Anche i piani di guerra del 2006 per il Libano e il Mediterraneo Orientale dimostrano un importante cambio di direzione, con l’intesa franco-tedesca come partner e un importante ruolo militare per Francia e Germania nella regione.

Vale la pena di notare che agli inizi del 2007 anche l’atteggiamento nei confronti dell’Iran è cambiato significativamente. Dopo gli scacchi in Iraq e in Afghanistan (ma anche in Libano, Palestina, Somalia e nell’Asia Centrale ex sovietica), la Casa Bianca ha avviato negoziati segreti con l’Iran e la Siria. In ogni caso il dado è stato tratto, e pare che l’America non sarà in grado di compromettere un’alleanza militare che includa Russia, Iran e la Cina come fulcro.

La Commissione Baker-Hamilton: occulta cooperazione anglo-americana con l’Iran e la Siria?
"L’America dovrebbe anche appoggiare decisamente le aspirazioni turche a un oleodotto da Baku in [nella Repubblica dell’] Azerbaijan a Ceyhan sul litorale mediterraneo turco come importante sbocco per le risorse energetiche del bacino del Mar Caspio. Non è inoltre nell’interesse dell’America perpetuare l’ostilità tra America e Iran. Una riconciliazione dovebbe basarsi sul riconoscimento di un mutuo interesse strategico per la stabilizzazione di ciò che attualmente è un ambiente regionale molto mutevole per l’Iran [per esempio, Iraq e Afghanistan]. Certamente una tale riconciliazione andrebbe perseguita da entrambi le parti e non dovrebbe essere un favore concesso unilateralmente. Un Iran forte, anche religiosamente motivato ma non fanaticamente anti-occidentale, è nell’interesse degli Stati Uniti e perfino la dirigenza politica iraniana potrà infine riconoscere quella realtà. Nel frattempo gli interessi americani ad ampio raggio in Eurasia sarebbero avvantaggiati se cadessero le attuali obiezioni americane a una più stretta collaborazione economica tra Turchia e Iran, soprattutto nella costruzione di nuovi oleodotti".
Zbigniew Brzezinski (The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives, 1997)

Le raccomandazioni della Commissione Baker-Hamilton o Iraq Study Group (ISG) non rappresentano un cambio di direzione nell’atteggiamento verso l’Iran, ma piuttosto un ritorno alla linea di condotta dalla quale l’amministrazione Bush aveva deviato dopo le illusioni suscitate dalle rapide vittorie in Afghanistan e Iraq. In altre parole, la Commissione Baker-Hamilton si è occupata di controllo dei danni e di rimettere l’America sulla via originariamente intrapresa dagli strateghi militari e verosimilmente tradita dall’amministrazione Bush.

Il Rapporto dell’ISG lascia anche sottilmente intendere che si potrebbe agire sull’Iran (e per estensione sulla Siria) favorendo l’adozione delle riforme economiche del cosiddetto "libero mercato" piuttosto che imponendo un cambio di regime. L’ISG inoltre è favorevole all’ingresso di Siria e Iran nella World Trade Organization (WTO). [14] Bisognerebbe anche osservare, a tale proposito, che l’Iran ha già avviato un programma di privatizzazione di massa che coinvolge tutti i settori, dalle banche all’energia e all’agricoltura.

Il Rapporto dell’ISG raccomanda inoltre la fine del Conflitto arabo-israeliano e la pace tra Israele e Siria. [15]

La Comissione Baker-Hamilton ha anche analizzato gli interessi comuni di Iran e Stati Uniti. L’ISG ha raccomandato agli Stati Uniti di non rafforzare nuovamente i talebani in Afghanistan (in funzione anti-iraniana). [16] Bisognerebbe anche notare che Imad Moustapha, l’ambasciatore siriano negli Stati Uniti, il ministro degli esteri siriano e Javad Zarif, il rappresentante iraniano alle Nazioni Unite, sono stati tutti consultati dalla Commissione Baker-Hamilton . [17] L’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite, Javad Zarif, ha anche fatto per anni da intermediario tra i governi statunitense e iraniano.

Vale la pena di ricordare che l’amministrazione Clinton seguiva la via del riavvicinamento all’Iran, tentando al contempo di tenere sotto controllo l’Iran secondo la dottrina del "doppio contenimento" nei confronti di Iraq e Iran. Questa politica si ricollegava anche alla Draft Defence Guidance (bozza del Documento per la Pianificazione della Difesa) del 1992, scritta da membri delle amministrazioni di Bush padre e figlio.

Vale la pena di ricordare anche che Zbigniew Brzezinski aveva affermato già nel 1979 e ribadito nel 1997 che l’Iran con il suo sistema politico post-rivoluzionario poteva essere cooptato dall’America. [18] La Gran Bretagna nel 2002 e il 2003 assicurò inoltre alla Siria e all’Iran che non sarebbero stati presi di mira e li incoraggiò a collaborare con la Casa Bianca.

Si noti che la Turchia ha recentemente firmato con l’Iran un contratto per un gasdotto che trasporterà il gas verso l’Europa Occidentale. Questo progetto vede anche la partecipazione del Turkmenistan. [19] Sembrerebbe che questo accordo di cooperazione tra Teheran e Ankara indichi una riconciliazione piuttosto che uno scontro con Iran e Siria, ed è in linea con quando disse Brzezinski nel 1997 parlando degli interessi americani.

Anche il governo iracheno sostenuto dagli anglo-americani ha firmato accordi con l’Iran per la costruzione di condotti.

Ancora una volta ci si dovrebbe interrogare sugli interessi dell’America in questo affare, così come delle ottime opinioni espresse sull’Iran dai governanti fantoccio di Iraq e Afghanistan.

C’è qualcosa che non va…
L’attenzione dei media nordamericani e britannici per i commenti positivi su Teheran espressi dai clienti anglo-americani a Baghdad ha qualcosa di sinistro.

Anche se questi commenti da Baghdad e Kabul sul ruolo positivo assunto dall’Iran in Iraq e Afghanistan non sono una novità, lo è l’attenzione dei mezzi di informazione. Il presidente George W. Bush Jr. e la Casa Bianca hanno criticato il primo ministro iracheno per aver detto agli inizi di agosto del 2007 che l’Iran sta avendo un ruolo costruttivo in Iraq. La stampa nordamericana e quella britannica solitamente si sarebbero limitate a ignorare o a rifiutarsi di prender atto di questi commenti. Nell’agosto del 2007 non è stato così.

Il presidente afghano, Hamid Karzai, durante una conferenza stampa congiunta con George W. Bush Jr., ha dichiarato che l’Iran è un forza positiva nel suo paese. Non è strano sentir dire che l’Iran è una forza positiva all’interno dell’Afghanistan perché la stabilità dell’Afghanistan è tutta nell’interesse dell’Iran. La cosa strana è rappresentata dal "dove" e "quando" sono stati espressi questi commenti. Le conferenze stampa della Casa Bianca hanno una coreografia ben pianificata, e bisognerebbe interrogarsi sulla scelta di tempo e luogo per le dichiarazioni del presidente afghano. Subito dopo i commenti del presidente afghano il presidente iraniano è arrivato a Kabul per una visita senza precedenti che deve avere ricevuto l’approvazione della Casa Bianca.

L’influenza politica dell’Iran
Per quanto riguarda l’Iran e gli Stati Uniti, il quadro è sfocato e la linea di separazione tra cooperazione e rivalità è poco chiara. La Reuters e l’Iranian Student’s News Agency (ISNA) hanno entrambe riportato che dopo l’agosto del 2007 sarebbe potuta esserci una visita del presidente iraniano a Baghdad. Queste notizie sono emerse proprio prima che il governo statunitense cominciasse a minacciare di etichettare le Guardia Rivoluzionaria iraniana come un’organizzazione terroristica internazionale. Senza insinuare nulla, bisognerebbe osservare che la Guardia Rivoluzionaria e l’esercito americano hanno alle spalle una storia di collaborazione a basso profilo, dalla Bosnia-Herzegovina all’Afghanistan controllato dai talebani.

Il presidente iraniano ha anche invitato i presidenti degli altri quattro stati caspici per un vertice del Mar Caspio a Teheran. [20] Ha invitato il presidente turkmeno quando è andato in visita in Turkmenistan e in seguito i presidenti russo e kazako al summit della SCO nell’agosto del 2007. Anche il presidente della Repubblica dell’Azerbaijan, Aliyev, è stato invitato personalmente durante un viaggio a Baku del presidente iraniano. Il previsto summit del Mar Caspio potrebbe essere simile a quello svoltosi a Port Turkmenbashi, in Turkmenistan, tra i presidenti kazako, russo e turkmeno, e durante il quale è stato dato l’annuncio che la Russia non sarebbe stata esclusa dai contratti per la costruzione di condotti nell’Asia Centrale.

L’influenza iraniana si sta chiaramente rafforzando. Le autorità di Baku hanno anche fatto sapere che espanderanno la cooperazione energetica con l’Iran ed entraranno in contratto per la costruzione di un gasdotto tra Iran, Turchia e Turkmenistan che rifornirà i mercati europei. [21] Questo accordo per la fornitura di gas all’Europa è simile a un contratto per il trasporto dell’energia firmato da Grecia, Bulgaria e Federazione Russa. [22]

A levante, la Siria si impegna in negoziati con Ankara e Baku e sono stati avviati importanti colloqui tra gli americani e Teheran e Damasco. [23]

L’Iran ha anche preso parte a scambi diplomatici con Siria, Libano, Turchia e Repubblica dell’Azerbaijan. Inoltre, a partire dall’agosto del 2007 la Siria ha acconsentito a riaprire gli oleodotti iracheni per il trasporto del petrolio verso il Mediterraneo orientale attraverso il territorio siriano. [24] La recente visita ufficiale in Siria del primo ministro iracheno Al-Maliki è stata descritta come storica da fonti d’informazione come la British Broadcasting Corporation (BBC). Inoltre la Siria e l’Iraq si sono accordate sulla costruzione di un gasdotto dall’Iraq alla Siria, dove il gas iracheno verrà raffinato. [25] Si è detto che questo pacchetto di accordi economici sarebbe all’origine delle tensioni tra Baghdad e la Casa Bianca, ma la cosa è poco chiara. [26]

L’Iran e il Gulf Cooperation Council (GCC) stanno anche programmando di dare il via alla creazione di una zona di libero scambio tra l’Iran e il Consiglio di Cooperazione nel Golfo Persico. Nei mercati di Therean e nella cerchia politica di Rafsanjani si discute anche sulla creazione di un mercato unico tra Iran, Tagikistan, Armenia, Iraq, Afghanistan e Siria. Bisognerebbe indagare sul ruolo americano in questi processi, con riferimento all’Afghanistan, all’Iraq e al GCC.

Sotto la presidenza di Nicholas Sarkozy la Francia ha fatto capire di essere disposta a coinvolgere appieno i siriani se daranno garanzie specifiche a proposito del Libano. Queste garanzie sono legate agli interessi economici e geo-strategici francesi.

Contemporaneamente alle dichiarazioni francesi sulla Siria, Gordon Brown ha lasciato intendere che anche la Gran Bretagna è disposta ad avviare scambi diplomatici sia con la Siria che con l’Iran. Anche Heidemarie Wieczorek-Zeul, ministro tedesco per la cooperazione economica e lo sviluppo, si è impegnata in colloqui con Damasco su progetti comuni, riforma economica e avvicinamento della Siria all’Unità Europea. Questi colloqui, tuttavia, tendono a camuffarsi dietro alle discussioni tra Siria e Germania sull’esodo di massa dei profughi iracheni in seguito all’occupazione del loro paese. Il ministro degli esteri francesi è atteso a Teheran per colloqui sul Libano, la Palestina e l’Iraq. Nonostante le dichiarazioni guerrafondaie degli Stati Uniti e più recentemente della Francia, questi colloqui hanno prodotto speculazioni su una possibile marcia indietro su Iran e Siria. [27]

Ancora una volta tutto ciò fa parte del doppio atteggiamento degli Stati Uniti, che da un lato si preparano al peggio (la guerra) e dall’altro sollecitano la capitolazione diplomatica di Siria e Iran come stati clienti o partner. Quando la Gran Bretagna e la Libia hanno firmato accordi petroliferi e contratti di fornitura di armamenti, Londra ha dichiarato che l’Iran avrebbe dovuto seguire l’esempio libico, e questo è stato ribadito dalla Commissione Baker-Hamilton.

Si è fermata la corsa alla guerra?
Nonostante i colloqui a porte chiuse con Damasco e Teheran, Washington sta comunque armando i propri stati clienti in Medio Oriente. Israele si trova a uno stadio avanzato di preparazione militare per una guerra contro la Siria.

Diversamente da Francia e Germania, gli anglo-americani non nutrono ambizioni di cooperazione con Iran e Siria: l’obiettivo ultimo è la subordinazione politica ed economica.

Inoltre, che si tratti di amicizia o di inimicizia, l’America non può comunque tollerare l’Iran entro i suoi confini attuali. La balcanizzazione dell’Iran, come quella dell’Iraq e della Russia, è un importante obiettivo anglo-americano a lungo termine.

Non si può mai sapere cosa accadrà in futuro. Anche se si intravede del fumo all’orizzonte, non è detto che i piani militari di USA, NATO e Israele debbano necessariamente risultare nella messa in atto della guerra così come è stata programmata.

Sta emergendo una "coalizione sino-russo-iraniana" che costituirebbe la base di una contro-alleanza globale. L’America e la Gran Bretagna, piuttosto che optare per una guerra diretta, potrebbe scegliere di cooptare Iran e Siria attraverso la manipolazione macro-economica e le rivoluzioni di velluto.

Una guerra diretta contro Iran e Siria, comunque, non può essere esclusa. In Medio Oriente e Asia Centrale è davvero in corso una preparazione della guerra sul campo. Una conflitto contro Iran e Siria avrebbe vaste implicazioni a livello mondiale.

Mahdi Darius Nazemroaya risiede a Ottawa ed è uno scrittore indipendente specializzato in Medio Oriente e Asia Centrale. È ricercatore al Centro per la Ricerca sulla Globalizzazione (CRG).

NOTE

[1] Trattato di Buon Vicinato e Cooperazione Amichevole tra la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa, firmato e entrato in vigore il 16 luglio 2001, Repubblica Popolare Cinese-Federazione Russa, Ministero degli affari esteri della Repubblica Popolare Cinese.

http://www.fmprc.gov.cn/eng/wjdt/2649/t15771.htm

Seguono gli articoli del trattato rilevanti per la mutua difesa di Cina e Russia contro l’accerchiamento guidato dagli Stati Uniti e i tentativi di smantellare entrambe le nazioni;

ARTICOLO 4

La Parte cinese appoggia la Parte russa nelle sue politiche di difesa dell’unità nazionale e integrità territoriale della Federazione Russa.

La Parte russa appoggia la Parte cinese nelle sue politiche di difesa dell’unità nazionale e integrità territoriale della Repubblica Popolare Cinese.

ARTICOLO 5

La Parte russa riafferma che la posizione sulla questione di Taiwan esposta nei documenti politici firmati e adottati dai capi di stato dei due paesi dal 1992 al 2000 rimane immutata. La Parte russa riconosce che nel mondo esiste solo una Cina, che la Repubblica Popolare Cinese è l’unico governo legale che rappresenti l’intera Cina e che Taiwan è parte inalienabile della Cina. La Parte russa si oppone a qualsiasi forma di indipendenza di Taiwan.

ARTICOLO 8

Le Parti contraenti non entreranno in alcuna alleanza né faranno parte di alcun blocco né intraprenderanno azioni, compresa la conclusione di trattati con un paese terzo, che possano compromettere la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente. Nessuna delle due Parti contraenti consentirà che il suo territorio venga usato da un paese terzo per minacciare la sovranità nazionale, la sicurezza e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente.

Nessuna delle due Parti contraenti consentirà la creazione di organizzazioni o bande sul proprio suolo che possano danneggiare la sovranità, la sicurezza e l’integrità territoriale dell’altra Parte contraente e le attività di tali gruppi andranno proibite.

ARTICOLO 9

In situazioni in cui una delle Parti contraenti giudichi che la pace sia in pericolo o che i suoi interessi in fatto di sicurezza siano in pericolo o quando deve affrontare la minaccia di un’aggressione, le Parti contraenti avvieranno immediatamente contatti e consultazioni per eliminare tali minacce.

ARTICOLO 12

Le Parti contraenti collaboreranno per il mantenimento dell’equilibrio e della stabilità strategici globali e si impegneranno a fondo per promuovere l’osservanza degli accordi basilari relativi alla salvaguardia e al mantenimento della stabilità strategica.

Le Parti contraenti promuoveranno attivamente il processo di disarmo nucleare e la riduzione di armi chimiche, promuoveranno e rafforzeranno i regimi di proibizione delle armi biologiche e intraprenderanno misure per prevenire la proliferazione di armi di distruzione di massa, insieme ai mezzi di trasporto e di utilizzo e alle tecnologie ad esse correlate.

[2] Ibid.

[3] Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives (NYC, New York: HarperCollins Publishers, 1997), p.198. Edizione italiana: La grande scacchiera: la supremazia americana e i suoi imperativi geo-strategici (Milano, Longanesi, 1998).

[4] Ibid., pp. 115-116, 170, 205-206.

Nota: Brzezinski si riferisce a una coalizione sino-russo-iraniana anche come una "controalleanza" ( p.116).

[5] Zbigniew Brzezinski, Out of Control: Global Turmoil on the Eve of the 21st Century (NYC, New York: Charles Scribner’s Sons Macmillan Publishing Company, 1993), p.198. Edizione italiana Il mondo fuori controllo (Milano, Longanesi, 1993).

[6] Ibid.

[7] Ibid.

[8] Brzezinski, The Grand Chessboard, Op. cit., p.198.

[9] M. K. Bhadrakumar, "The lessons from Ferghana ", Asia Times, 18 maggio 2005.

http://www.atimes.com/atimes/Central_Asia/GE18Ag01.html

[10] Nick Paton Walsh, "Uzbekistan kicks US out of military base", The Guardian (UK), 1° agosto 2005.

http://www.guardian.co.uk/usa/story/0,12271,1540185,00.html

[11] Vladimir Radyuhin, "Uzbekistan rejoins defence pact", The Hindu, 26 giugno 2006.

http://www.thehindu.com/2006/06/26/stories/2006062604491400.htm

[12] Brzezinski, The Grand Chessboard, Op. cit., p.116.

[13] Glenn Kessler, "In 2003, U.S. Spurned Iran’s Offer of Dialogue", The Washington Post, 18 giugno, 2006, p.A16.

http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2006/06/17/AR2006061700727.html

[14] James A. Baker III et al., The Iraq Study Group Report: The Way Forward — A New Approach Authorized ed. (NYC, New York: Random House Inc., 2006), p.51.

[15] Ibid., pp.51, 54-57.

[16] Ibid., pp.50-53, 58.

[17] Ibid., p.114.

[18] Brzezinski, The Grand Chessboard, Op. cit., p.204.

[19] "Iran, Turkey sign energy cooperation deal, agree to develop Iran’s gas fields", Associated Press, 14 luglio 2007.

http://www.iht.com/articles/ap/2007/07/14/business/ME-FIN-Iran-Turkey-Energy-deal.php

[20] "Tehran to host summit of Caspian nations Oct.18", Russian Information Agency (RIA Novosti), 22 agosto 2007.
http://en.rian.ru/world/20070822/73387774.html

[21] "Azerbaijan, Iran reinforce energy deals", United Press International (UPI), 22 agosto 2007.

[22] Mahdi Darius Nazemroaya, The March to War: Détente in the Middle East or "Calm before the Storm?", Centre for Research on Globalization (CRG), 10 luglio 2007.

http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va& aid=6281

[23] Ibid.

Vale la pena di osservare che l’Iran ha preso parte a contratti per la costruzione di condotti con la Turchia e a negoziati tra Siria, Libano, Turchia e Repubblica dell’Azerbaijan per la creazione di un corridoio energetico nel Mediterraneo orientale. Questi negoziati si svolgevano mentre sia la Siria che l’Iran avviavano colloqui con gli Stati Uniti dopo il rapporto della Commissione Baker-Hamilton.

[24] "Syria and Iraq to reopen oil pipeline link", Agence France-Presse (AFP), 22 agosto 2007.

[25] Ibid.

[26] Roger Hardy, "Why the US is unhappy with Maliki", British Broadcasting Corporation (BBC), 22 agosto 2007.

http://news.bbc.co.uk/2/hi/middle_east/6958440.stm

[27] Hassan Nafaa, "About-face on Iran coming?", Al-Ahram ( Egypt), n. 859, 23-29 agosto 2007.

http://weekly.ahram.org.eg/2007/859/op22.htm

Originale: http://www.globalresearch.ca/PrintArticle.php?articleId=6688

Tradotto dall’inglese da Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica. Questa traduzione è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l’integrità e di menzionarne l’autore e la fonte.
posted by mirumir at 9:05 AM   

 

TRADUZIONE: 

http://mirumir.altervista.org/2007/10/lalleanza-sino-russa-di-mahdi-darius.html

 

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

TRATTATO EUROPEO. APPROVATA LA COSTITUZIONE EU A PORTE CHIUSE
Postato il 15 Dicembre 2007 (19:00) di davide         DI TITO PULSINELLI
Carmilla on line

L’Unione Europea ha una nuova Costituzione, alleluia! Fiato alle trombe, inni, giubilo, gaudio e… facciatosta.
Finalmente è stato trovato l’inghippo per aggirare l’ostacolo rapresentato dalla bocciatura sonora dei cittadini francesi e degli olandesi. La Francia e l’Olanda, infatti, rimangono gli unici due Paesi in cui fu concesso respingere alle urne l’oltranzismo liberista della élite tecnocratica continentale. Poi sospesero democraticamente tutte le consultazioni, anche quelle dei parlamenti nazionali.

Dunque… una settimana fa, eravamo rimasti agli schiamazzi dei funzionari vitalizi che han messo radici a Bruxelles contro il referendum popolare in Venezuela. In questo Paese, si chiamarono alle urne i cittadini per modificare -sì, modificare – una Costituzione, che era stata approvata nove anni prima, con un altro referendum.

 

I notabili vitalizi dell’UE hanno trovato il modo di aggirare l’opinione pubblica e la volontà popolare, e tra pochi addetti ai lavori hanno varato un documento che fungerà da Costituzione. Il tutto, a porte quasi chiuse. Non c’è stata nemmeno la votazione dei Parlamenti nazionali.
Hanno nominato una ennesima conventicola di "saggi" – capitanata dallo spagnolo Felipe Gonzalez – e avanti tutta verso il futuro radioso!

L’UE è una costruzione diretta da un’oligarchia finanziaria (Banca Centrale Europea), con un governo ("commissione") designato unilateralmente nelle capitali, e con un Parlamento espresso dai voti, ma con competenze di secondo piano.
La cupola decisionale reale, quella che pianifica l’economia dei 27 con i "cinque parametri" macroeconomici – novelle tavole della legge – sfugge al controllo della cittadinanza, che non ha il potere di eleggerla. La mediocrità di un Frattini, l’inamovibilità cardinalizia di un Solanas, l’ignoranza multilingue esibita da un Barroso… non sono responsabilità degli elettori europei.

OK, ma come fanno questi svergognati, che stanno al di sopra della sovranità popolare, a salire sul pulpito e dare lezioni di democrazia agli altri? Putin, bene o male, è stato eletto, ma loro da dove sbucano? Ahmedinejad è stato eletto, loro no.
Come fanno questi ipocriti e spudorati boiardi a vomitare veleni contro il Venezuela? Come fanno a insultare i venezuelani che esercitano un diritto che loro non si sognano di concedere agli europei?
L’eurocentrismo cinico ha raggiunto la sua massima espressione, cioè lo stadio supremo dello spettacolo che si nutre di apparenza e incoerenza. Un bel tacer non è ancora stato scritto.

Tito Pulsinelli
Fonte www.carmillaonline.com
Link: http://www.carmillaonline.com/archives/2007/12/002471.html#002471
15.12.07

[Sullo stesso tema, si consiglia di leggere le critiche al trattato espresse dall’organizzazione Attac. Un altro passo indietro della democrazia rappresentativa, e una conferma della sua crisi forse definitiva.] (V.E.)

Trattato di modifica dell’UE: inaccettabile nel metodo e per il suo contenuto!
 article publié le 12/10/2007
auteur-e(s) : Khalfa Pierre
Molte centinaia di pagine con 297 modifiche dei trattati esistenti, dodici protocolli ed alcune decine di progetti di dichiarazioni aventi lo stesso valore giuridico dei trattati, così si presenta il “trattato modificatore” dell’Unione europea. Non si tratterà qui di farne un commento esaustivo, dato che vengono tralasciati volontariamente un certo numero di argomenti, ma di mettere in evidenza alcuni punti e di darne un giudizio globale.
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Un metodo contrario ad ogni dibattito democratico.
La dichiarazione comune dei governi dell’Unione, adottata a Berlino in occasione delle celebrazioni del cinquantenario del trattato di Roma, si fissava come obiettivo di “poggiare l’Unione europea su basi comuni rinnovate prima delle elezioni al Parlamento europeo del 2009”. Tutto doveva dunque essere fatto per evitare che le elezioni europee siano un momento di dibattito politico sull’avvenire dell’Unione. Il Consiglio europeo del 21 e 22 giugno ha confermato questo programma.. Questo Consiglio europeo ha riprodotto i peggiori momenti della costruzione europea offrendo lo spettaccolo di una negoziazione a porte chiuse, i cui termini, una volta ancora, sfuggivano ai cittadini dell’Unione.
Un mese più tardi la presidenza portoghese ripropone un progetto che deve essere adottato il 18 e 19 ottobre dal Consiglio. In soli due mesi tutto sarà concluso. La rapidità con la quale questa questione è stata raffazzonata la dice lunga sulla concezione dell’Europa e della democrazia che anima i dirigenti europei. Il doppio “no” francese e olandese al TCE era, fra l’altro, un rifiuto del metodo con il quale l’Europa era stata costruita: negoziato segreto fra gli Stati, assenza di ogni trasparenza sul contenuto delle poste in gioco, rifiuto del dibattito pubblico.
Si sarebbe potuto credere che, dopo l’episodio del Trattato costituzionale europeo (TCE), i governi almeno non avrebbero più riprodotto tale tipo di comportamenti. Ma è successo il contrario e noi assistiamo alla manifestazione della volontà di escludere i cittadini europei da ogni dibattito sull’avvenire dell’Unione. Palesemente il doppio “no” francese ed olandese al TCE ha spaventato a tal punto i dirigenti europei che adesso non vogliono più prendere il minimo rischio: tutto deve essere fatto molto in fretta per battere in velocità una eventuale reazione dei cittadini. Ed evidentemente si potranno contare sulle dita di una mano i governi che oseranno far ratificare tale trattato da un referendum. La Francia non sarà della partita, come ha già fin d’ora deciso il nuovo presidente della Repubblica.
Questo metodo è inaccettabile e va contro le esigenze di numerosi movimenti di cittadini in Europa come, per esempio gli Attac d’Europa, i quali preconizzano che “una assemblea nuova e democratica, eletta direttamente dai cittadini di tutti gli Stati membri, riceverà il mandato di elaborare un nuovo progetto di trattato, con la partecipazione effettiva dei Parlamenti nazionali” e che “ogni nuovo trattato dovrà essere sottoposto a referendum in tutti gli Stati membri”.
Un contenuto nel prolungamento degli orientamenti precedenti.
Il “trattato modificatore” modifica i due trattati esistenti, il trattato sull’Unione europea (TUE) ed il trattato di istituzione della cominità europea che prende il nome di ”Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (TFUE). Ricordiamo che il trattato sull’Unione Europea è il trattato di Maastricht modificato da quello di Amsterdam e di Nizza e che il trattato di istituziuone della comunità europea è quello di Roma modificato dai trattati successivi a partire dal 1957.
Il preambolo del TUE è stato modificato dall’aggiunta di un considerando che che indica che l’Unione deve inspirarsi al retaggio religioso dell’Europa. Se un tale riferimento dovesse persistere, sarebbe una vittoria per le correnti oscurantiste ed un regresso ideologico molto importante. Noi dobbiamo esigere dal presidente della Repubblica che la Francia metta il suo veto ad una tale formulazione che contraddice il principio di laicità.
1.
Concorrenza

La stampa ha fatto gran caso al “successo “ riportato da Nicolas Sarcozy che ha ottenuto che l’espressione “concorrenza libera e non falsata” non apparisse come un obiettivo dell’Unione. Si tratta certo di una vittoria simbolica dei partigiani del “no” al TCE e le vittorie simboliche non sono trascurabili perché legittimano una lotta. Avrà questo una qualche sia pur piccola conseguenza concreta?
Il principio di concorrenza resta presente in innumerevoli articoli dei trattati. Citiamo per esempio l’articolo 105 mantenuto nel TFUE che afferma “il principio di una economia di mercato aperta, dove la concorrenza è libera”. Inoltre è al cuore della maggior parte degli atti legislativi europei che restano in vigore, in particolare di quelli che liberalizzano i servizi pubblici.
Infine, per evitare ogni falsa interpretazione, il protocollo n° 6 richiama chiaramente il principio applicabile in tale materia: “il mercato interno, quale è definito all’articolo [I-3] del trattato sull’Unione europea comprende un sistema che garantisce che la concorrenza non vien falsata”. L’articolo [I-3] tratta degli obiettivi dell’Unione. In tale modo la concorrenza non falsata è reintrodotta negli obiettivi dell’Unione da cui sembrava essere scomparsa. Per ribattere il chiodo, e mettere in chiaro che non si tratta di un obiettivo teorico, il protocollo n° 6 indica che a tale scopo “l’Unione prende, se necessario, dei provvedimenti nel quadro delle disposizioni dei trattati”.
Chiaramente, la forza del diritto della concorrenza resta identico. Resta il diritto organizzatore dell’Unione, un diritto normativo, vero diritto “costituzionale” che riduce quasi sempre gli altri testi europei ad essere delle dichiarazioni di intenzioni senza portata operativa pratica.
Una modifica dell’articolo 93, che verte sull’armonizzazione fiscale, fra l’altro su quella delle legislazioni relative alle tasse sulla cifra d’affari, indica che questa armonizzazione deve avvenire al fine “di evitare le distorsioni di concorrenza”. Però questa procedura di armonizzazione resta sottomessa all’unanimità degli Stati. Persino malgrado il fatto che si sarebbe dovuto precisare in quale senso la si dovesse fare, poiché certi Stati non hanno imposte sulle società, una tale armonizzazione non è vicina alla sua attuazione.
Politica commerciale / circolazione dei capitali

La politica commerciale dell’Unione si fissa per obiettivo “di incoraggiare l’integrazione di tutti i paesi nell’economia mondiale, anche per mezzo della soppressione progressiva degli ostacoli al commercio internazionale” (nuovo articolo 10A TUE). Il libero scambio generalizzato resta l’orizzonde insuperabile delle politiche europee.
Questo obiettivo è affermato in modo ampliato dall’articolo 188 B del TFUE che indica che l’Unione “contribuisce (…) alla soppressione progressiva delle restrizioni degli scambi internazionali e degli investimenti stranieri diretti, come anche alla riduzione delle barriere doganali e altre”. Questo articolo modifica la redazione attuale nel senso di una ancor maggiore liberalizzazione: gli investimenti stranieri diretti e il “e altre” non apparivano nell’articolo iniziale. Quest’ultima espressione rinvia agli “ostacoli non tariffali al commercio” quali le norme ambientali o la protezione dei consumatori che sono il bersaglio delle politiche di liberalizzazione condotte, tra l’altro, dall’OMC.
L’unanimità degli Stati è tuttavia richiesta per la conclusione di accordi commerciali nell’”ambito dei servizi culturali ed audiovisivi quando questi accordi rischiano di compromettere la diversità culturale e linguistica dell’Unione” e “nel campo del commercio dei servizi sociali, dell’educazione e della salute, quando questi accordi rischiano di perturbare gravemente l’organizzazione di questi servizi a livello nazionale”. Una questione resta però senza risposta: chi sarà a decidere che i rischi evocati esistono?
Il trattato modificatore non tocca evidentemente la libertà di circolazione dei capitali, non solo fra gli Stati membri, ma anche fra questi ultimi e i paesi terzi (art. 56 TFEU) e l’unanimità degli Stati resta richiesta per ogni misura mirante a restringere la liberalizzazione dei movimenti dei capitali (art. 57-3 TFEU).
Ruolo della BCE / politica economica

La stabilità dei prezzi adesso fa parte degli obiettivi dell’Unione (art. 3 TUE modificato). Si può notare che nell’attuale TUE la stabilità dei prezzi non figurava tra gli obiettivi dell’Unione. Era semplicemente un obiettivo della Banca centrale europea (BCE) indicato nell’articolo 5 del trattato istitutivo della comunità europea. Se la sua aggiunta come obiettivo dell’Unione non cambierà niente in pratica, non per questo non è simbolico, tanto più che evidentemente niente si dice a proposito dell’inflazione sugli attivi finanziari, che pure è una delle cause di disfunzione dell’economia mondiale. Questo articolo 105 vien mantenuto nel TFUE e, in oltre, un nuovo articolo 245 bis riguardante la BCE riafferma ancora questo obiettivo per battere ulteriormente il chiodo se ce ne fosse bisogno.
L’indipendenza della BCE evidentemente vien mantenuta (art. 108 TFUE) ed avrà come solo obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi, contrariamente alle altre banche centrali.
La dichiarazione 17 riafferma “il suo attaccamento (della CIG) alla strategia di Lisbona” e preconizza il rafforzamento della competitività. Invita “ad una ristrutturazione delle entrate e delle spese pubbliche, rispettando la disciplina di bilancio conformemente ai trattati ed al patto di stabilità e di crescita”. Fissa come obiettivo “di arrivare progressivamente ad un’eccedenza di bilancio in periodo di congiuntura favorevole”. Insomma, la dogmatica neoliberale abituale, aggravata dall’obiettivo di raggiungere un eccedenza di bilancio.
Politica di sicurezza e di difesa

La difesa comune dell’Unione non è prevista che nel quadro della NATO. Il legame con la NATO è rafforzato. La formulazione attuale (art. 17-4 TUE) indica che la collaborazione nel quadro della NATO non può aver luogo che “nella misura in cui tale collaborazione non contravviene a quella che è prevista nel presente titolo né la disturba”. La nuova formulazione lega più strettamente una futura difesa europea alla NATO: “Gli impegni e la cooperazione in questo ambito restano conformi agli impegni sottoscritti in seno all’Organizzazione del trattato nordatlantico, che resta per gli Stati che ne sono membri il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza della sua realizzazione” (futuro articolo 27-7 TUE)
Il protocollo n° 4 ribatte il chiodo, “ricordando che la politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione rispetta gli obblighi che conseguono dal Trattato nordatlantico” e “un ruolo più affermato dell’Unione in materia di sicurezza e di difesa contribuirà alla vitalità di una alleanza atlantica rinnovata”.
Il militarismo è ufficialmente incoraggiato: “Gli Stati membri si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari” (futuro art. 27-3 TUE). Questo dev’essere il solo punto in cui il trattato incoraggia gli Stati ad aumentare le loro spese pubbliche!
In nome della lotta contro il terrorismo, gli interventi militari all’estero sono incoraggiati: “Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, compreso il sostegno dato a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio” (futuro articolo 28 TUE). Un tale articolo autorizza, di fatto tutte le avventure militari.
Carta dei diritti fondamentali

La Carta dei diritti fondamentali non è stata integrata nel trattato di modifica. La dichiarazione n° 11 indica che “sarà proclamata solennemente dal Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione il giorno della firma” dei due trattati modificati. Questa stessa dichiarazione ne riprende il testo. L’articolo 6 del TUE sui diritti fondamentali è stato riscritto per integrarvi la sua esistenza che “ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. La Carta sarà dunque “giuridicamente cogente” (Dichiarazione 31) Tutto il problema è di sapere fino a che punto.
In effetti, i diritti sociali che vi sono contenuti sono di portata molto debole. Così, il diritto al lavoro ed al posto di lavoro non esistono e appare solo il “diritto di lavorare”. Il diritto alla protezione sociale è sostituito con un semplice “diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale ed ai servizi sociali”. Questo testo è dunque in regresso in confronto alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alla Costituzione francese. Quest’ultima afferma che “ognuno ha diritto di ottenere un impiego” e che “(la nazione) garantisce a tutti la protezione della salute, la sicurezza materiale”. Certo, per essere applicati, questi diritti richiedono una lotta quotidiana, ma hanno il merito di esistere.
Altri argomenti pongono problemi ancora maggiori. Il diritto all’aborto e alla contraccezione non sono riconosciuti dalla Carta. In questo quadro si può temere che la riaffermazione del “diritto alla vita” sia utilizzato da taluni per contestarli davanti alla Corte di giustizia.
Per l’essenziale, l’applicazione dei diritti contenuti in questa Carta è rinviato alle “pratiche ed alle legislazioni nazionali”. Questa carta fondamentalmente non crea dunque un diritto sociale europeo suscettibile di riequilibrare il diritto della concorrenza che resterà dominante a livello europeo. Ciliegina sulla torta, delle limitazioni a questi diritti possono essere introdotte se sono giudicate “necessarie”.
D’altronde, per premunirsi contro qualsiasi possibile scivolone, la sua portata è esplicitamente ristretta. Il suo testo indica che essa “non crea nessuna competenza né alcun compito nuovo per l’Unione e non modifica le competenze ed i compiti definiti dai Trattati”, frase ripresa, non si è mai troppo prudenti, nella nuova formulazione dell’art. 6 del TUE e dalla Dichiarazione 31. Più ancora, “la loro invocazione (dei dispositivi della Carta)di fronte ad un giudice non è ammessa che per il controllo dell’interpretazione e la legalità (degli atti delle istituzioni dell’Unione e degli Stati)”, cosa che riduce fortemente la sua portata giuridica.
D’altra parte, la Carta indica che “sarà interpretata dalle istanze giuridiche dell’Unione e degli Stati membri tenendo doverosamente in considerazione le spiegazioni stabilite sotto l’autorità del praesidium della Convenzione che ha elaborato la Carta e messe a giorno sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea”. Queste “spiegazioni”,richiamate mella Dichiarazione 12, nella maggior parte dei casi restringono la portata dei diritti contenuti nella Carta.
Infine, il quarto alinea dell’art. 6 del TUE sui diritti fondamentali che indicava che “L’Unione si dota dei mezzi necessari per raggiungere i suoi obiettivi e per condurre le sue politiche” è stato soppresso, confermando in tal modo che questa Carta rischia molto di non avere impatto in materia di politiche pubbliche europee.
Malgrado tutte queste precauzioni, questo testo è ancora troppo per certi governi. Così il Regno Unito ha ottenuto di esserne dispensato (Protocollo n° 7) e la Polonia e l’Irlanda intendono fare la stessa cosa.
Servizi pubblici

L’art. 16 del Trattato istitutivo della Comunità europea riconosce i servizi di interesse economico generale (SIEG) come un “valore comune dell’Unione” ed indica che l’Unione ed i suoi Stati membri “vegliano a che questi servizi funzionino sulla base dei principi e nelle condizioni che permettono loro di svolgere la loro missione”.
Questo articolo è modificato. Diventa l’art. 14 del TFUE. La nuova redazione evoca esplicitamente la necessità per l’Unione ed i suoi Stati membri di assicurare le condizioni economiche e finanziarie che permettano ai SIEG di assicurare le loro missioni. Di più, una nuova frase è stata aggiunta, che indica che “il Parlamento europeo ed il Consiglio (…) stabiliscono questi principi e fissano queste condizioni”.
Queste modifiche sono positive. Tuttavia non toccano l’essenziale. In effetti, la messa in opera di questo articolo è esplicitamente sottomessa agli articolo 86 e 97 del Trattato. Questi articoli sono stati conservati nel TFUE. L’articolo 86 ha una portata considerevole. È mortifero per i servizi pubblici. Questi ultimi sono assoggettati alle regole della concorrenza. Non possono derogarvi che se la cosa non disturba lo sviluppo degli scambi “in misura contraria all’interesse della Comunità”. È la Commissione che è giudice delle deroghe possibili. La Commissione ha in tal modo ogni potere di aprire i servizi pubblici alla concorrenza. Questo articolo fornisce la base giuridica alla liberalizzazione dei servizi pubblici. L’art. 87 rende, di fatto, quasi impossibile ogni aiuto dello Stato per delle ragioni di interesse generale.
Il riferimento agli articoli 86 e 87 svuota, di fatto, il nuovo articolo 14 di ogni portata operativa per sviluppare i servizi pubblici.
Il Protocollo n° 9 verte sui servizi di interesse genrale (SIG). È la prima volta che un testo di portata giuridica equivalente ai trattati verte sui SIG. Verte sulle disposizioni interpretative che saranno annesse al TFUE. L’articolo primo precisa l’art. 14 sulle SIEG. Preconizza “un livello elevato di qualità, di sicurezza e di accessibilità, l’eguaglianza di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti per gli utilizzatori”. C’è da temere che queste formulazioni generali, già incontrate in altri testi europei, non pesino molto di fronte all’apertura alla concorrenza, che resta la regola per i SIG: “Le disposizioni dei trattati non scalfiscono in nessun modo la competenza degli Stato membri relativa alla fornitura, alla messa in servizio ed all’organizzazione di servizi non economici di interesse generale”. Questo articolo sembra dunque proteggere i SIG dalle regole della concorrenza. Il problema viene in effetti dalla definizione dei “servizi non economici” che non è presente nel testo.
Una sentenza della Corte di giustizia (C-180-184/98) indica che “costituisce attività economica ogni attività consistente nell’offrire beni e servizi su un dato mercato”. Con questo tipo di definizione, pressoché tutto può essere considerato “attività economica” e dunque essere assoggettato al diritto della concorrenza ed alle regole del mercato interno. E di fatto, in un rapporto sui servizi di interesse generale, fatta in occasione del Consiglio europeo di Laeken alla fine dell’anno 2001, la Commissione indica che “non è possibile stabilire a priori una lista definitiva di tutti i servizi di interesse generale che devono essere considerati non economici”. Indica d’altra parte che “la gamma di servizi che possono essere proposti su un mercato dipende dai mutamenti tecnologici, economici e societari”, facendo perdere pertinenza alla distinzione tra servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale.
L’articolo 2 rischia molto in questo contesto di restare senza alcuna portata pratica.
Salute/sicurezza sociale

L’articolo 18 modificato del TFUE verte sul libero diritto di circolazione nell’Unione per ogni cittadino dell’Unione. Un nuovo paragrafo 3 è creato. Indica che a quest’effetto “il Consiglio, statuendo conformemente ad una procedura legislativa speciale, può decidere delle misure concernenti la sicurezza sociale o la protezione sociale”. La portata di questo articolo è certo limitata e sarà necessaria l’unanimità degli Stati. Tuttavia la più grande vigilanza resta necessaria quando si conosce la propensione della Commissione ad infilarsi nei più piccoli interstizi giuridici per rimettere in causa le politiche pubbliche.
L’articolo 42 modoficato del TFUE verte sui diritti dei lavoratori migranti in materia di sicurezza sociale. La procedura dell’unanimità degli Stati è sostituita con una procedura più complessa che permette ad uno Stato di bloccare momentaneamente un progetto durante quattro mesi.
La dichiarazione 14 indica che “nel caso che un progetto di atto legislativo (…) portasse pregiudizio agli aspetti fondamentali del sistema di sicurezza sociale di uno Stato membro (…) gli interessi del detto Stato membro saranno presi in considerazione nel modo appropriato”. La necessità di una tale dichiarazione la dice lunga su ciò che sarebbe suscettibile di essere previsto!
L’art. 176 E del TFUE, che modifica l’art. 152 del trattato istitutivo della Comunità europea, riafferma la responsabilità degli Stati membri in materia di definizione della loro politica della salute, compreso il piano delle risorse. Sarebbe dunque stato utile e necessario che il trattato indicasse, data la grandissima disparità dei sistemi di protezione sociale dopo l’allargamento del 2004, degli obiettivi più precisi di salute pubblica, un obiettivo minimo per la parte delle spese della salute nel PIB dei paesi in questione ed una prospettiva di convergenza versi l’alto dei sistemi di protezione sociale.
Trasporti

Il secondo alinea dell’articolo 71 TFUE è stato modificato. La sua redazione attuale prevedeva che l’unanimità degli Stati era necessaria per adottare, nel quadro della politica comune dei trasporti, delle misure la cui applicazione era suscettibile di portar pregiudizio al livello di vita, all’impiego o all’utilizzo delle strutture di trasporto. La nuova redazione indica semplicemente che, nella realizzazione della politica comune dei trasporti, “si tiene conto” di questi casi. Un catenaccio protettore dei servizi pubblici salta.
Energia

Viene creato un titolo specifico nel TFUE (art. 1176 A). Si situa “nel quadro della creazione o del funzionamento del mercato interno”, ossia della liberalizzazione del mercato dell’energia. Se indica di voler “assicurare la sicurezza dell’approvigionamento energetico (…) sia le economie di energia che lo sviluppo delle energie nuove e rinnovabili”, persiste nel voler “promuovere l’interconnessione delle reti energetiche” anche se questa può avere, e ha già avuto, conseguenze disastrose con il moltiplicarsi dei problemi creati dalla liberalizzazione del settore. Il diritto all’energia non è neanche menzionato, proprio mentre la liberalizzazione del settore si attacca direttamente al servizio pubblico dell’energia.
Competenze reciproche tra l’Unione e gli Stati membri

La ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri è stata precisata. “Ogni competenza non attribuita nei trattati appartiene agli Stati membri (…) l’Unione interviene solo se, e nella misura in cui, gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere raggiunti in maniera sufficiente dagli Stati membri” (nuovo art. 4 e 5 TUE).
Questi principi sono precisati negli articoli da 2 a 6 del TFUE.
Tre tipi di ambiti si affacciano: quelli che attengono alla competenza esclusiva dell’Unione, quelli che attengono alla competenza condivisa tra l’Unione e gli Stati membri e quelli per i quali “l’Unione dispone di una competenza per condurre delle azioni per appoggiare, coordinare o completare l’azione degli Stati membri”. Questa ripartizione, apparentemente chiara, delle responsabilità, nei fatti non è veramente chiara.
In effetti, nel caso degli argomenti attinenti alla competenza condivisa, il trattato modificatore indica che “Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la sua”. Non si tratta dunque di una competenza condivisa con gli Stati membri ma di una preminenza delle azioni dell’Unione su quelle degli Stati membri. La lista degli ambiti interessati dalla “competenza esclusiva” e dalla “competenza condivisa” tocca un numero impressionante di aspetti della vita quotidiana degli abitanti dell’Unione, anche senza aggiungervi quelli per i quali “l’Unione dispone della competenza per condurre delle azioni per appoggiare, coordinare o completare l’azione degli Stati membri”.
Gli Stati conservano il diritto di veto sull’azione esterna dell’Unione, e sulla politica estera e di sicurezza comune. Una parte delle politiche sociali e fiscali sfugge al diritto dell’Unione, ma queste ultime sono in pratica sovradeterminate dalle politiche economiche che, queste sì, sono determinate dall’Unione. In tale modo quasi l’80% delle leggi adottate dai Parlamenti nazionali non sono che la trasposizione del diritto europeo. Ciò rende assolutamente necessaria la costruzione di rapporti di forza a livello dell’Unione.
Le modifiche istituzionali

1) Diritto di iniziativa dei cittadini
“Dei cittadini dell’Unione, in numero di un milione almeno, cittadini di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione, nel quadro delle sue competenze, a sottomettere una proposta appropriata su questioni per le quali questi cittadini considerano che un atto giuridico dell’Unione è necessario ai fini dell’applicazione dei trattati” (nuovo articolo 8 B TUE).
A parte il fatto che i cittadini non avevano aspettato che fosse indicato nel trattato per metterlo in opera, questo diritto di petizione resta molto severamente inquadrato. Deve riguardare l’applicazione dei trattati. Fuori questione dunque di domandare una disposizione che li modificherebbe. Inoltre, è evidentemente la Commissione che decide dell’opportunità o meno di farlo. Insomma, un passo avanti così minuscolo per l’intervento dei cittadini che può essere assimilato alla marcia sul posto. Però può almeno essere utilizzato come uno strumento nella costruzione di rapporti di forza su scala europea, come una petizione su scala nazionale.
2) Atti legislativi europei/ ruolo della Commissione
Sono le direttive, i regolamenti, le decisioni. La definizione di questi termini è data dall’articolo 249 del TFUE. La definizione della “decisione” è stata modificata. Nella sua definizione attuale, una decisione, che è obbligatoriamente applicabile, concerneva un destinatario o dei destinatari precisi. La nuova definizione le assegna una portata più generale. Ci si può domandare quale sia il senso esatto di questa modifica.
Il ruolo della Commissione è indicato in un nuovo articolo 9 D del TUE: “Un atto legislativo dell’Unione non può che essere adottato su proposta della Commissione salvo nei casi in cui i Trattati ne dispongano diversamente”. Quali sono questi casi? Rinviano ai due tipi di procedure legislative (nuovo articolo 249 A TFUE). “La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio su proposta della Commissione. Una procedura legislativa speciale consiste nell’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo”. Una certa oscurità regna, in prima lettura, su questa nozione di “procedura legislativa speciale” che appare abbastanza regolarmente nel trattato modificatore. In questo caso il ruolo della Commissione non è menzionato. D’altra parte, il ruolo della Commissione è accresciuto dato che un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di modificare “certi elementi non essenziali” di questo atto (nuovo articolo 249 B TFUE).
3) Ruolo dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo
I parlamenti nazionali compaiono a parecchie riprese (nuovo articolo 8C TUE, protocollo n°1 e 2…), con la volontà manifesta di rafforzarne il ruolo.
L’art. 7 del protocollo n°2 indica la procedura che permette loro di influire sul processo legislativo europeo. Ogni parlamento nazionale dispone di due voti. Appaiono due casi di figura. Nel caso di una procedura legislativa ordinaria, se una maggioranza dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali dà un parere negativo, il progetto deve essere riesaminato. Negli altri casi, un terzo dei voti basta (un quarto nel caso delle questioni di sicurezza e di giustizia). Il parere negativo deve essere motivato dal non rispetto del principio di sussidiarietà
Questo articolo rafforza certo il ruolo dei Parlamenti nazionali. Tuttavia la sua portata è molto limitata dato che i Parlamenti nazionali non si determinano sul fondo del progetto ma sulla sua continutà politica, rispetto o meno del principio di sussidiarietà.
Il ruolo del Parlamento europeo è accresciuto da un aumento significativo dei campi relativi alla codecisione con il Consiglio.
Infine un Parlamento nazionale potrà bloccare una decisione del Consiglio che trasforma il modo di adozione da parte di quest’ultimo di atti legislativi nel caso in cui il Consiglio decide di votare a maggioranza qualificata, mentre l’unaninità è richiesta per i trattati, e nei casi di passaggio da una procedura legislativa speciale ad una procedura legislativa ordinaria (nuovo articolo 33-33 TUE).
4) Diritto di ricorso individuale davanti alla Corte di giustizia
È ristretto. In effetti, il quarto alinea dell’articolo 230 TFUE è modificato. La redazione attuale prevedeva che il ricorso di un individuo era possibile anche se le decisioni che lo concernono direttamente ed individualmente erano state “prese apparentemente come regolamento o come una decisione indirizzata ad un’altra persona”. Quest’ultima possibilità è scomparsa.
5) Le altre modifiche
L’Unione si vede dotata di una personalità giuriduca, cosa che le permette di firmare degli accordi internazionali in nome degli Stati membri. La maggioranza qualificata al Consiglio passa a 50% degli Stati e 55% della popolazione al 1° novembre 2014 con misure transitorie complesse che potranno durare fino al 2017. Riduzione del numero dei Commissari con anche qui una procedura di transizione fino al 31 ottobre 2014. Creazione di un posto di Presidente del Consiglio europeo per un mandato di 2,5 anni rinnovabile una volta e di un Alto Rappresentante (il termine ministro è stato rigettato) dell’Unione per gli affari esteri.
Combattere questo trattato, esigere un referendum
Il trattato modificatore trasferisce l’essenziale del TCE nei trattati attuali. Come ha detto crudamente Valéry Giscard D’Estaing “I governi europei si sono così messi d’accordo su dei cambiamenti cosmetici alla Costituzione perché questa risulti più facile da inghiottire”. Certo il termine di “costituzione” non vien più usato e questo testo avrà dunque una portata simbolica minore. Non sarà che un trattato in più.
La disposizione che permette al Regno Unito di essere dispensato dall’applicare la Carta dei diritti fondamentali, apre un dibattito interessante. Può essere interpretata in due modi. La prima è che i diritti sociali al livello europeo, anche ridotti a porzioni congrue, non sono obbligatori allo stesso titolo che le regole del mercato interno. Il sociale sarà dunque un’opzione e la concorrenza sarà obbligatoria. Si tratta dell’ufficializzazione del dumping sociale. La seconda è che ogni paese ora potrebbe scegliere ciò che gli conviene nelle decisioni europee. Una Europa “à la carte” si instaurerà con i suoi inconvenienti, l’aumento della concorrenza fra gli Stati, e i suoi vantaggi, il fatto di poter rifiutare di applicare una decisione. Per esempio il governo francese, che afferma di voler difendere i servizi pubblici, potrà rifiutarsi di applicare la direttiva postale!
Inoltre, le ragioni di fondo del rigetto del TCE rimangono valide per questo trattato. Marcato da cima a fondo dal neoliberalismo, sia nei principi che promuove che nelle politiche che favorisce, questo trattato si situa nel prolungamento di quello di Maastricht e di Amsterdam. L’Unine europea resterà uno spazio privilegiato di promozione delle politiche neoliberali. I pochi punti positivi non rimettono in causa fondamentalmente il funzionamento attuale dell’Unione marcato da un profondo deficit democratico con una confusione dei poteri che vede l’organo esecutivo dell’Unione, la Commissione, dotata dei poteri legislativi e giudiziari e che fa del Consiglio un organo legislativo mentre si tratta della riunione degli esecutivi nazionali.
A queste ragioni di fondo si è ora aggiunto il metodo impiegato che conferma la volontà dei governi e della Commissione di escludere i popoli ed i cittadini dal processo di costruzione dell’Unione. La rapidità del processo di elaborazione rischia di limitare la possibilità di pesare sul suo contenuto, di fronte alla complessità del testo. Un primo punto può tuttavia suscitare una larga mobilitazione dei cittadini: far ritirare dal trattato ogni riferimento all’eredità religiosa dell’Europa.
Inoltre, occorre esigere il promuovimento di un referendum. Il TCE è stato rigettato da un referendum. Il “trattato modificatore” che riprende l’essenziale di quest’ultimo deve essere sottoposto direttamente al voto dei cittadini per mezzo del refe
Pierre Khalfa – agosto 2007
Traduzione : Mariasilva Bernasconi e Marie-Ange Patrizio, Coorditrad.
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http://www.france.attac.org/spip.php?article7585

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

TRATTATO EUROPEO. APPROVATA LA COSTITUZIONE EU A PORTE CHIUSE
Postato il 15 Dicembre 2007 (19:00) di davide         DI TITO PULSINELLI
Carmilla on line

L’Unione Europea ha una nuova Costituzione, alleluia! Fiato alle trombe, inni, giubilo, gaudio e… facciatosta.
Finalmente è stato trovato l’inghippo per aggirare l’ostacolo rapresentato dalla bocciatura sonora dei cittadini francesi e degli olandesi. La Francia e l’Olanda, infatti, rimangono gli unici due Paesi in cui fu concesso respingere alle urne l’oltranzismo liberista della élite tecnocratica continentale. Poi sospesero democraticamente tutte le consultazioni, anche quelle dei parlamenti nazionali.

Dunque… una settimana fa, eravamo rimasti agli schiamazzi dei funzionari vitalizi che han messo radici a Bruxelles contro il referendum popolare in Venezuela. In questo Paese, si chiamarono alle urne i cittadini per modificare -sì, modificare – una Costituzione, che era stata approvata nove anni prima, con un altro referendum.

 

I notabili vitalizi dell’UE hanno trovato il modo di aggirare l’opinione pubblica e la volontà popolare, e tra pochi addetti ai lavori hanno varato un documento che fungerà da Costituzione. Il tutto, a porte quasi chiuse. Non c’è stata nemmeno la votazione dei Parlamenti nazionali.
Hanno nominato una ennesima conventicola di "saggi" – capitanata dallo spagnolo Felipe Gonzalez – e avanti tutta verso il futuro radioso!

L’UE è una costruzione diretta da un’oligarchia finanziaria (Banca Centrale Europea), con un governo ("commissione") designato unilateralmente nelle capitali, e con un Parlamento espresso dai voti, ma con competenze di secondo piano.
La cupola decisionale reale, quella che pianifica l’economia dei 27 con i "cinque parametri" macroeconomici – novelle tavole della legge – sfugge al controllo della cittadinanza, che non ha il potere di eleggerla. La mediocrità di un Frattini, l’inamovibilità cardinalizia di un Solanas, l’ignoranza multilingue esibita da un Barroso… non sono responsabilità degli elettori europei.

OK, ma come fanno questi svergognati, che stanno al di sopra della sovranità popolare, a salire sul pulpito e dare lezioni di democrazia agli altri? Putin, bene o male, è stato eletto, ma loro da dove sbucano? Ahmedinejad è stato eletto, loro no.
Come fanno questi ipocriti e spudorati boiardi a vomitare veleni contro il Venezuela? Come fanno a insultare i venezuelani che esercitano un diritto che loro non si sognano di concedere agli europei?
L’eurocentrismo cinico ha raggiunto la sua massima espressione, cioè lo stadio supremo dello spettacolo che si nutre di apparenza e incoerenza. Un bel tacer non è ancora stato scritto.

Tito Pulsinelli
Fonte www.carmillaonline.com
Link: http://www.carmillaonline.com/archives/2007/12/002471.html#002471
15.12.07

[Sullo stesso tema, si consiglia di leggere le critiche al trattato espresse dall’organizzazione Attac. Un altro passo indietro della democrazia rappresentativa, e una conferma della sua crisi forse definitiva.] (V.E.)

Trattato di modifica dell’UE: inaccettabile nel metodo e per il suo contenuto!
 article publié le 12/10/2007
auteur-e(s) : Khalfa Pierre
Molte centinaia di pagine con 297 modifiche dei trattati esistenti, dodici protocolli ed alcune decine di progetti di dichiarazioni aventi lo stesso valore giuridico dei trattati, così si presenta il “trattato modificatore” dell’Unione europea. Non si tratterà qui di farne un commento esaustivo, dato che vengono tralasciati volontariamente un certo numero di argomenti, ma di mettere in evidenza alcuni punti e di darne un giudizio globale.
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Un metodo contrario ad ogni dibattito democratico.
La dichiarazione comune dei governi dell’Unione, adottata a Berlino in occasione delle celebrazioni del cinquantenario del trattato di Roma, si fissava come obiettivo di “poggiare l’Unione europea su basi comuni rinnovate prima delle elezioni al Parlamento europeo del 2009”. Tutto doveva dunque essere fatto per evitare che le elezioni europee siano un momento di dibattito politico sull’avvenire dell’Unione. Il Consiglio europeo del 21 e 22 giugno ha confermato questo programma.. Questo Consiglio europeo ha riprodotto i peggiori momenti della costruzione europea offrendo lo spettaccolo di una negoziazione a porte chiuse, i cui termini, una volta ancora, sfuggivano ai cittadini dell’Unione.
Un mese più tardi la presidenza portoghese ripropone un progetto che deve essere adottato il 18 e 19 ottobre dal Consiglio. In soli due mesi tutto sarà concluso. La rapidità con la quale questa questione è stata raffazzonata la dice lunga sulla concezione dell’Europa e della democrazia che anima i dirigenti europei. Il doppio “no” francese e olandese al TCE era, fra l’altro, un rifiuto del metodo con il quale l’Europa era stata costruita: negoziato segreto fra gli Stati, assenza di ogni trasparenza sul contenuto delle poste in gioco, rifiuto del dibattito pubblico.
Si sarebbe potuto credere che, dopo l’episodio del Trattato costituzionale europeo (TCE), i governi almeno non avrebbero più riprodotto tale tipo di comportamenti. Ma è successo il contrario e noi assistiamo alla manifestazione della volontà di escludere i cittadini europei da ogni dibattito sull’avvenire dell’Unione. Palesemente il doppio “no” francese ed olandese al TCE ha spaventato a tal punto i dirigenti europei che adesso non vogliono più prendere il minimo rischio: tutto deve essere fatto molto in fretta per battere in velocità una eventuale reazione dei cittadini. Ed evidentemente si potranno contare sulle dita di una mano i governi che oseranno far ratificare tale trattato da un referendum. La Francia non sarà della partita, come ha già fin d’ora deciso il nuovo presidente della Repubblica.
Questo metodo è inaccettabile e va contro le esigenze di numerosi movimenti di cittadini in Europa come, per esempio gli Attac d’Europa, i quali preconizzano che “una assemblea nuova e democratica, eletta direttamente dai cittadini di tutti gli Stati membri, riceverà il mandato di elaborare un nuovo progetto di trattato, con la partecipazione effettiva dei Parlamenti nazionali” e che “ogni nuovo trattato dovrà essere sottoposto a referendum in tutti gli Stati membri”.
Un contenuto nel prolungamento degli orientamenti precedenti.
Il “trattato modificatore” modifica i due trattati esistenti, il trattato sull’Unione europea (TUE) ed il trattato di istituzione della cominità europea che prende il nome di ”Trattato sul funzionamento dell’Unione europea” (TFUE). Ricordiamo che il trattato sull’Unione Europea è il trattato di Maastricht modificato da quello di Amsterdam e di Nizza e che il trattato di istituziuone della comunità europea è quello di Roma modificato dai trattati successivi a partire dal 1957.
Il preambolo del TUE è stato modificato dall’aggiunta di un considerando che che indica che l’Unione deve inspirarsi al retaggio religioso dell’Europa. Se un tale riferimento dovesse persistere, sarebbe una vittoria per le correnti oscurantiste ed un regresso ideologico molto importante. Noi dobbiamo esigere dal presidente della Repubblica che la Francia metta il suo veto ad una tale formulazione che contraddice il principio di laicità.
1.
Concorrenza

La stampa ha fatto gran caso al “successo “ riportato da Nicolas Sarcozy che ha ottenuto che l’espressione “concorrenza libera e non falsata” non apparisse come un obiettivo dell’Unione. Si tratta certo di una vittoria simbolica dei partigiani del “no” al TCE e le vittorie simboliche non sono trascurabili perché legittimano una lotta. Avrà questo una qualche sia pur piccola conseguenza concreta?
Il principio di concorrenza resta presente in innumerevoli articoli dei trattati. Citiamo per esempio l’articolo 105 mantenuto nel TFUE che afferma “il principio di una economia di mercato aperta, dove la concorrenza è libera”. Inoltre è al cuore della maggior parte degli atti legislativi europei che restano in vigore, in particolare di quelli che liberalizzano i servizi pubblici.
Infine, per evitare ogni falsa interpretazione, il protocollo n° 6 richiama chiaramente il principio applicabile in tale materia: “il mercato interno, quale è definito all’articolo [I-3] del trattato sull’Unione europea comprende un sistema che garantisce che la concorrenza non vien falsata”. L’articolo [I-3] tratta degli obiettivi dell’Unione. In tale modo la concorrenza non falsata è reintrodotta negli obiettivi dell’Unione da cui sembrava essere scomparsa. Per ribattere il chiodo, e mettere in chiaro che non si tratta di un obiettivo teorico, il protocollo n° 6 indica che a tale scopo “l’Unione prende, se necessario, dei provvedimenti nel quadro delle disposizioni dei trattati”.
Chiaramente, la forza del diritto della concorrenza resta identico. Resta il diritto organizzatore dell’Unione, un diritto normativo, vero diritto “costituzionale” che riduce quasi sempre gli altri testi europei ad essere delle dichiarazioni di intenzioni senza portata operativa pratica.
Una modifica dell’articolo 93, che verte sull’armonizzazione fiscale, fra l’altro su quella delle legislazioni relative alle tasse sulla cifra d’affari, indica che questa armonizzazione deve avvenire al fine “di evitare le distorsioni di concorrenza”. Però questa procedura di armonizzazione resta sottomessa all’unanimità degli Stati. Persino malgrado il fatto che si sarebbe dovuto precisare in quale senso la si dovesse fare, poiché certi Stati non hanno imposte sulle società, una tale armonizzazione non è vicina alla sua attuazione.
Politica commerciale / circolazione dei capitali

La politica commerciale dell’Unione si fissa per obiettivo “di incoraggiare l’integrazione di tutti i paesi nell’economia mondiale, anche per mezzo della soppressione progressiva degli ostacoli al commercio internazionale” (nuovo articolo 10A TUE). Il libero scambio generalizzato resta l’orizzonde insuperabile delle politiche europee.
Questo obiettivo è affermato in modo ampliato dall’articolo 188 B del TFUE che indica che l’Unione “contribuisce (…) alla soppressione progressiva delle restrizioni degli scambi internazionali e degli investimenti stranieri diretti, come anche alla riduzione delle barriere doganali e altre”. Questo articolo modifica la redazione attuale nel senso di una ancor maggiore liberalizzazione: gli investimenti stranieri diretti e il “e altre” non apparivano nell’articolo iniziale. Quest’ultima espressione rinvia agli “ostacoli non tariffali al commercio” quali le norme ambientali o la protezione dei consumatori che sono il bersaglio delle politiche di liberalizzazione condotte, tra l’altro, dall’OMC.
L’unanimità degli Stati è tuttavia richiesta per la conclusione di accordi commerciali nell’”ambito dei servizi culturali ed audiovisivi quando questi accordi rischiano di compromettere la diversità culturale e linguistica dell’Unione” e “nel campo del commercio dei servizi sociali, dell’educazione e della salute, quando questi accordi rischiano di perturbare gravemente l’organizzazione di questi servizi a livello nazionale”. Una questione resta però senza risposta: chi sarà a decidere che i rischi evocati esistono?
Il trattato modificatore non tocca evidentemente la libertà di circolazione dei capitali, non solo fra gli Stati membri, ma anche fra questi ultimi e i paesi terzi (art. 56 TFEU) e l’unanimità degli Stati resta richiesta per ogni misura mirante a restringere la liberalizzazione dei movimenti dei capitali (art. 57-3 TFEU).
Ruolo della BCE / politica economica

La stabilità dei prezzi adesso fa parte degli obiettivi dell’Unione (art. 3 TUE modificato). Si può notare che nell’attuale TUE la stabilità dei prezzi non figurava tra gli obiettivi dell’Unione. Era semplicemente un obiettivo della Banca centrale europea (BCE) indicato nell’articolo 5 del trattato istitutivo della comunità europea. Se la sua aggiunta come obiettivo dell’Unione non cambierà niente in pratica, non per questo non è simbolico, tanto più che evidentemente niente si dice a proposito dell’inflazione sugli attivi finanziari, che pure è una delle cause di disfunzione dell’economia mondiale. Questo articolo 105 vien mantenuto nel TFUE e, in oltre, un nuovo articolo 245 bis riguardante la BCE riafferma ancora questo obiettivo per battere ulteriormente il chiodo se ce ne fosse bisogno.
L’indipendenza della BCE evidentemente vien mantenuta (art. 108 TFUE) ed avrà come solo obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi, contrariamente alle altre banche centrali.
La dichiarazione 17 riafferma “il suo attaccamento (della CIG) alla strategia di Lisbona” e preconizza il rafforzamento della competitività. Invita “ad una ristrutturazione delle entrate e delle spese pubbliche, rispettando la disciplina di bilancio conformemente ai trattati ed al patto di stabilità e di crescita”. Fissa come obiettivo “di arrivare progressivamente ad un’eccedenza di bilancio in periodo di congiuntura favorevole”. Insomma, la dogmatica neoliberale abituale, aggravata dall’obiettivo di raggiungere un eccedenza di bilancio.
Politica di sicurezza e di difesa

La difesa comune dell’Unione non è prevista che nel quadro della NATO. Il legame con la NATO è rafforzato. La formulazione attuale (art. 17-4 TUE) indica che la collaborazione nel quadro della NATO non può aver luogo che “nella misura in cui tale collaborazione non contravviene a quella che è prevista nel presente titolo né la disturba”. La nuova formulazione lega più strettamente una futura difesa europea alla NATO: “Gli impegni e la cooperazione in questo ambito restano conformi agli impegni sottoscritti in seno all’Organizzazione del trattato nordatlantico, che resta per gli Stati che ne sono membri il fondamento della loro difesa collettiva e l’istanza della sua realizzazione” (futuro articolo 27-7 TUE)
Il protocollo n° 4 ribatte il chiodo, “ricordando che la politica di sicurezza e di difesa comune dell’Unione rispetta gli obblighi che conseguono dal Trattato nordatlantico” e “un ruolo più affermato dell’Unione in materia di sicurezza e di difesa contribuirà alla vitalità di una alleanza atlantica rinnovata”.
Il militarismo è ufficialmente incoraggiato: “Gli Stati membri si impegnano a migliorare progressivamente le loro capacità militari” (futuro art. 27-3 TUE). Questo dev’essere il solo punto in cui il trattato incoraggia gli Stati ad aumentare le loro spese pubbliche!
In nome della lotta contro il terrorismo, gli interventi militari all’estero sono incoraggiati: “Tutte queste missioni possono contribuire alla lotta contro il terrorismo, compreso il sostegno dato a paesi terzi per combattere il terrorismo sul loro territorio” (futuro articolo 28 TUE). Un tale articolo autorizza, di fatto tutte le avventure militari.
Carta dei diritti fondamentali

La Carta dei diritti fondamentali non è stata integrata nel trattato di modifica. La dichiarazione n° 11 indica che “sarà proclamata solennemente dal Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione il giorno della firma” dei due trattati modificati. Questa stessa dichiarazione ne riprende il testo. L’articolo 6 del TUE sui diritti fondamentali è stato riscritto per integrarvi la sua esistenza che “ha lo stesso valore giuridico dei trattati”. La Carta sarà dunque “giuridicamente cogente” (Dichiarazione 31) Tutto il problema è di sapere fino a che punto.
In effetti, i diritti sociali che vi sono contenuti sono di portata molto debole. Così, il diritto al lavoro ed al posto di lavoro non esistono e appare solo il “diritto di lavorare”. Il diritto alla protezione sociale è sostituito con un semplice “diritto di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale ed ai servizi sociali”. Questo testo è dunque in regresso in confronto alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alla Costituzione francese. Quest’ultima afferma che “ognuno ha diritto di ottenere un impiego” e che “(la nazione) garantisce a tutti la protezione della salute, la sicurezza materiale”. Certo, per essere applicati, questi diritti richiedono una lotta quotidiana, ma hanno il merito di esistere.
Altri argomenti pongono problemi ancora maggiori. Il diritto all’aborto e alla contraccezione non sono riconosciuti dalla Carta. In questo quadro si può temere che la riaffermazione del “diritto alla vita” sia utilizzato da taluni per contestarli davanti alla Corte di giustizia.
Per l’essenziale, l’applicazione dei diritti contenuti in questa Carta è rinviato alle “pratiche ed alle legislazioni nazionali”. Questa carta fondamentalmente non crea dunque un diritto sociale europeo suscettibile di riequilibrare il diritto della concorrenza che resterà dominante a livello europeo. Ciliegina sulla torta, delle limitazioni a questi diritti possono essere introdotte se sono giudicate “necessarie”.
D’altronde, per premunirsi contro qualsiasi possibile scivolone, la sua portata è esplicitamente ristretta. Il suo testo indica che essa “non crea nessuna competenza né alcun compito nuovo per l’Unione e non modifica le competenze ed i compiti definiti dai Trattati”, frase ripresa, non si è mai troppo prudenti, nella nuova formulazione dell’art. 6 del TUE e dalla Dichiarazione 31. Più ancora, “la loro invocazione (dei dispositivi della Carta)di fronte ad un giudice non è ammessa che per il controllo dell’interpretazione e la legalità (degli atti delle istituzioni dell’Unione e degli Stati)”, cosa che riduce fortemente la sua portata giuridica.
D’altra parte, la Carta indica che “sarà interpretata dalle istanze giuridiche dell’Unione e degli Stati membri tenendo doverosamente in considerazione le spiegazioni stabilite sotto l’autorità del praesidium della Convenzione che ha elaborato la Carta e messe a giorno sotto la responsabilità del praesidium della Convenzione europea”. Queste “spiegazioni”,richiamate mella Dichiarazione 12, nella maggior parte dei casi restringono la portata dei diritti contenuti nella Carta.
Infine, il quarto alinea dell’art. 6 del TUE sui diritti fondamentali che indicava che “L’Unione si dota dei mezzi necessari per raggiungere i suoi obiettivi e per condurre le sue politiche” è stato soppresso, confermando in tal modo che questa Carta rischia molto di non avere impatto in materia di politiche pubbliche europee.
Malgrado tutte queste precauzioni, questo testo è ancora troppo per certi governi. Così il Regno Unito ha ottenuto di esserne dispensato (Protocollo n° 7) e la Polonia e l’Irlanda intendono fare la stessa cosa.
Servizi pubblici

L’art. 16 del Trattato istitutivo della Comunità europea riconosce i servizi di interesse economico generale (SIEG) come un “valore comune dell’Unione” ed indica che l’Unione ed i suoi Stati membri “vegliano a che questi servizi funzionino sulla base dei principi e nelle condizioni che permettono loro di svolgere la loro missione”.
Questo articolo è modificato. Diventa l’art. 14 del TFUE. La nuova redazione evoca esplicitamente la necessità per l’Unione ed i suoi Stati membri di assicurare le condizioni economiche e finanziarie che permettano ai SIEG di assicurare le loro missioni. Di più, una nuova frase è stata aggiunta, che indica che “il Parlamento europeo ed il Consiglio (…) stabiliscono questi principi e fissano queste condizioni”.
Queste modifiche sono positive. Tuttavia non toccano l’essenziale. In effetti, la messa in opera di questo articolo è esplicitamente sottomessa agli articolo 86 e 97 del Trattato. Questi articoli sono stati conservati nel TFUE. L’articolo 86 ha una portata considerevole. È mortifero per i servizi pubblici. Questi ultimi sono assoggettati alle regole della concorrenza. Non possono derogarvi che se la cosa non disturba lo sviluppo degli scambi “in misura contraria all’interesse della Comunità”. È la Commissione che è giudice delle deroghe possibili. La Commissione ha in tal modo ogni potere di aprire i servizi pubblici alla concorrenza. Questo articolo fornisce la base giuridica alla liberalizzazione dei servizi pubblici. L’art. 87 rende, di fatto, quasi impossibile ogni aiuto dello Stato per delle ragioni di interesse generale.
Il riferimento agli articoli 86 e 87 svuota, di fatto, il nuovo articolo 14 di ogni portata operativa per sviluppare i servizi pubblici.
Il Protocollo n° 9 verte sui servizi di interesse genrale (SIG). È la prima volta che un testo di portata giuridica equivalente ai trattati verte sui SIG. Verte sulle disposizioni interpretative che saranno annesse al TFUE. L’articolo primo precisa l’art. 14 sulle SIEG. Preconizza “un livello elevato di qualità, di sicurezza e di accessibilità, l’eguaglianza di trattamento e la promozione dell’accesso universale e dei diritti per gli utilizzatori”. C’è da temere che queste formulazioni generali, già incontrate in altri testi europei, non pesino molto di fronte all’apertura alla concorrenza, che resta la regola per i SIG: “Le disposizioni dei trattati non scalfiscono in nessun modo la competenza degli Stato membri relativa alla fornitura, alla messa in servizio ed all’organizzazione di servizi non economici di interesse generale”. Questo articolo sembra dunque proteggere i SIG dalle regole della concorrenza. Il problema viene in effetti dalla definizione dei “servizi non economici” che non è presente nel testo.
Una sentenza della Corte di giustizia (C-180-184/98) indica che “costituisce attività economica ogni attività consistente nell’offrire beni e servizi su un dato mercato”. Con questo tipo di definizione, pressoché tutto può essere considerato “attività economica” e dunque essere assoggettato al diritto della concorrenza ed alle regole del mercato interno. E di fatto, in un rapporto sui servizi di interesse generale, fatta in occasione del Consiglio europeo di Laeken alla fine dell’anno 2001, la Commissione indica che “non è possibile stabilire a priori una lista definitiva di tutti i servizi di interesse generale che devono essere considerati non economici”. Indica d’altra parte che “la gamma di servizi che possono essere proposti su un mercato dipende dai mutamenti tecnologici, economici e societari”, facendo perdere pertinenza alla distinzione tra servizi di interesse generale e servizi di interesse economico generale.
L’articolo 2 rischia molto in questo contesto di restare senza alcuna portata pratica.
Salute/sicurezza sociale

L’articolo 18 modificato del TFUE verte sul libero diritto di circolazione nell’Unione per ogni cittadino dell’Unione. Un nuovo paragrafo 3 è creato. Indica che a quest’effetto “il Consiglio, statuendo conformemente ad una procedura legislativa speciale, può decidere delle misure concernenti la sicurezza sociale o la protezione sociale”. La portata di questo articolo è certo limitata e sarà necessaria l’unanimità degli Stati. Tuttavia la più grande vigilanza resta necessaria quando si conosce la propensione della Commissione ad infilarsi nei più piccoli interstizi giuridici per rimettere in causa le politiche pubbliche.
L’articolo 42 modoficato del TFUE verte sui diritti dei lavoratori migranti in materia di sicurezza sociale. La procedura dell’unanimità degli Stati è sostituita con una procedura più complessa che permette ad uno Stato di bloccare momentaneamente un progetto durante quattro mesi.
La dichiarazione 14 indica che “nel caso che un progetto di atto legislativo (…) portasse pregiudizio agli aspetti fondamentali del sistema di sicurezza sociale di uno Stato membro (…) gli interessi del detto Stato membro saranno presi in considerazione nel modo appropriato”. La necessità di una tale dichiarazione la dice lunga su ciò che sarebbe suscettibile di essere previsto!
L’art. 176 E del TFUE, che modifica l’art. 152 del trattato istitutivo della Comunità europea, riafferma la responsabilità degli Stati membri in materia di definizione della loro politica della salute, compreso il piano delle risorse. Sarebbe dunque stato utile e necessario che il trattato indicasse, data la grandissima disparità dei sistemi di protezione sociale dopo l’allargamento del 2004, degli obiettivi più precisi di salute pubblica, un obiettivo minimo per la parte delle spese della salute nel PIB dei paesi in questione ed una prospettiva di convergenza versi l’alto dei sistemi di protezione sociale.
Trasporti

Il secondo alinea dell’articolo 71 TFUE è stato modificato. La sua redazione attuale prevedeva che l’unanimità degli Stati era necessaria per adottare, nel quadro della politica comune dei trasporti, delle misure la cui applicazione era suscettibile di portar pregiudizio al livello di vita, all’impiego o all’utilizzo delle strutture di trasporto. La nuova redazione indica semplicemente che, nella realizzazione della politica comune dei trasporti, “si tiene conto” di questi casi. Un catenaccio protettore dei servizi pubblici salta.
Energia

Viene creato un titolo specifico nel TFUE (art. 1176 A). Si situa “nel quadro della creazione o del funzionamento del mercato interno”, ossia della liberalizzazione del mercato dell’energia. Se indica di voler “assicurare la sicurezza dell’approvigionamento energetico (…) sia le economie di energia che lo sviluppo delle energie nuove e rinnovabili”, persiste nel voler “promuovere l’interconnessione delle reti energetiche” anche se questa può avere, e ha già avuto, conseguenze disastrose con il moltiplicarsi dei problemi creati dalla liberalizzazione del settore. Il diritto all’energia non è neanche menzionato, proprio mentre la liberalizzazione del settore si attacca direttamente al servizio pubblico dell’energia.
Competenze reciproche tra l’Unione e gli Stati membri

La ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri è stata precisata. “Ogni competenza non attribuita nei trattati appartiene agli Stati membri (…) l’Unione interviene solo se, e nella misura in cui, gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere raggiunti in maniera sufficiente dagli Stati membri” (nuovo art. 4 e 5 TUE).
Questi principi sono precisati negli articoli da 2 a 6 del TFUE.
Tre tipi di ambiti si affacciano: quelli che attengono alla competenza esclusiva dell’Unione, quelli che attengono alla competenza condivisa tra l’Unione e gli Stati membri e quelli per i quali “l’Unione dispone di una competenza per condurre delle azioni per appoggiare, coordinare o completare l’azione degli Stati membri”. Questa ripartizione, apparentemente chiara, delle responsabilità, nei fatti non è veramente chiara.
In effetti, nel caso degli argomenti attinenti alla competenza condivisa, il trattato modificatore indica che “Gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la sua”. Non si tratta dunque di una competenza condivisa con gli Stati membri ma di una preminenza delle azioni dell’Unione su quelle degli Stati membri. La lista degli ambiti interessati dalla “competenza esclusiva” e dalla “competenza condivisa” tocca un numero impressionante di aspetti della vita quotidiana degli abitanti dell’Unione, anche senza aggiungervi quelli per i quali “l’Unione dispone della competenza per condurre delle azioni per appoggiare, coordinare o completare l’azione degli Stati membri”.
Gli Stati conservano il diritto di veto sull’azione esterna dell’Unione, e sulla politica estera e di sicurezza comune. Una parte delle politiche sociali e fiscali sfugge al diritto dell’Unione, ma queste ultime sono in pratica sovradeterminate dalle politiche economiche che, queste sì, sono determinate dall’Unione. In tale modo quasi l’80% delle leggi adottate dai Parlamenti nazionali non sono che la trasposizione del diritto europeo. Ciò rende assolutamente necessaria la costruzione di rapporti di forza a livello dell’Unione.
Le modifiche istituzionali

1) Diritto di iniziativa dei cittadini
“Dei cittadini dell’Unione, in numero di un milione almeno, cittadini di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa di invitare la Commissione, nel quadro delle sue competenze, a sottomettere una proposta appropriata su questioni per le quali questi cittadini considerano che un atto giuridico dell’Unione è necessario ai fini dell’applicazione dei trattati” (nuovo articolo 8 B TUE).
A parte il fatto che i cittadini non avevano aspettato che fosse indicato nel trattato per metterlo in opera, questo diritto di petizione resta molto severamente inquadrato. Deve riguardare l’applicazione dei trattati. Fuori questione dunque di domandare una disposizione che li modificherebbe. Inoltre, è evidentemente la Commissione che decide dell’opportunità o meno di farlo. Insomma, un passo avanti così minuscolo per l’intervento dei cittadini che può essere assimilato alla marcia sul posto. Però può almeno essere utilizzato come uno strumento nella costruzione di rapporti di forza su scala europea, come una petizione su scala nazionale.
2) Atti legislativi europei/ ruolo della Commissione
Sono le direttive, i regolamenti, le decisioni. La definizione di questi termini è data dall’articolo 249 del TFUE. La definizione della “decisione” è stata modificata. Nella sua definizione attuale, una decisione, che è obbligatoriamente applicabile, concerneva un destinatario o dei destinatari precisi. La nuova definizione le assegna una portata più generale. Ci si può domandare quale sia il senso esatto di questa modifica.
Il ruolo della Commissione è indicato in un nuovo articolo 9 D del TUE: “Un atto legislativo dell’Unione non può che essere adottato su proposta della Commissione salvo nei casi in cui i Trattati ne dispongano diversamente”. Quali sono questi casi? Rinviano ai due tipi di procedure legislative (nuovo articolo 249 A TFUE). “La procedura legislativa ordinaria consiste nell’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio su proposta della Commissione. Una procedura legislativa speciale consiste nell’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest’ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo”. Una certa oscurità regna, in prima lettura, su questa nozione di “procedura legislativa speciale” che appare abbastanza regolarmente nel trattato modificatore. In questo caso il ruolo della Commissione non è menzionato. D’altra parte, il ruolo della Commissione è accresciuto dato che un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di modificare “certi elementi non essenziali” di questo atto (nuovo articolo 249 B TFUE).
3) Ruolo dei Parlamenti nazionali e del Parlamento europeo
I parlamenti nazionali compaiono a parecchie riprese (nuovo articolo 8C TUE, protocollo n°1 e 2…), con la volontà manifesta di rafforzarne il ruolo.
L’art. 7 del protocollo n°2 indica la procedura che permette loro di influire sul processo legislativo europeo. Ogni parlamento nazionale dispone di due voti. Appaiono due casi di figura. Nel caso di una procedura legislativa ordinaria, se una maggioranza dei voti attribuiti ai Parlamenti nazionali dà un parere negativo, il progetto deve essere riesaminato. Negli altri casi, un terzo dei voti basta (un quarto nel caso delle questioni di sicurezza e di giustizia). Il parere negativo deve essere motivato dal non rispetto del principio di sussidiarietà
Questo articolo rafforza certo il ruolo dei Parlamenti nazionali. Tuttavia la sua portata è molto limitata dato che i Parlamenti nazionali non si determinano sul fondo del progetto ma sulla sua continutà politica, rispetto o meno del principio di sussidiarietà.
Il ruolo del Parlamento europeo è accresciuto da un aumento significativo dei campi relativi alla codecisione con il Consiglio.
Infine un Parlamento nazionale potrà bloccare una decisione del Consiglio che trasforma il modo di adozione da parte di quest’ultimo di atti legislativi nel caso in cui il Consiglio decide di votare a maggioranza qualificata, mentre l’unaninità è richiesta per i trattati, e nei casi di passaggio da una procedura legislativa speciale ad una procedura legislativa ordinaria (nuovo articolo 33-33 TUE).
4) Diritto di ricorso individuale davanti alla Corte di giustizia
È ristretto. In effetti, il quarto alinea dell’articolo 230 TFUE è modificato. La redazione attuale prevedeva che il ricorso di un individuo era possibile anche se le decisioni che lo concernono direttamente ed individualmente erano state “prese apparentemente come regolamento o come una decisione indirizzata ad un’altra persona”. Quest’ultima possibilità è scomparsa.
5) Le altre modifiche
L’Unione si vede dotata di una personalità giuriduca, cosa che le permette di firmare degli accordi internazionali in nome degli Stati membri. La maggioranza qualificata al Consiglio passa a 50% degli Stati e 55% della popolazione al 1° novembre 2014 con misure transitorie complesse che potranno durare fino al 2017. Riduzione del numero dei Commissari con anche qui una procedura di transizione fino al 31 ottobre 2014. Creazione di un posto di Presidente del Consiglio europeo per un mandato di 2,5 anni rinnovabile una volta e di un Alto Rappresentante (il termine ministro è stato rigettato) dell’Unione per gli affari esteri.
Combattere questo trattato, esigere un referendum
Il trattato modificatore trasferisce l’essenziale del TCE nei trattati attuali. Come ha detto crudamente Valéry Giscard D’Estaing “I governi europei si sono così messi d’accordo su dei cambiamenti cosmetici alla Costituzione perché questa risulti più facile da inghiottire”. Certo il termine di “costituzione” non vien più usato e questo testo avrà dunque una portata simbolica minore. Non sarà che un trattato in più.
La disposizione che permette al Regno Unito di essere dispensato dall’applicare la Carta dei diritti fondamentali, apre un dibattito interessante. Può essere interpretata in due modi. La prima è che i diritti sociali al livello europeo, anche ridotti a porzioni congrue, non sono obbligatori allo stesso titolo che le regole del mercato interno. Il sociale sarà dunque un’opzione e la concorrenza sarà obbligatoria. Si tratta dell’ufficializzazione del dumping sociale. La seconda è che ogni paese ora potrebbe scegliere ciò che gli conviene nelle decisioni europee. Una Europa “à la carte” si instaurerà con i suoi inconvenienti, l’aumento della concorrenza fra gli Stati, e i suoi vantaggi, il fatto di poter rifiutare di applicare una decisione. Per esempio il governo francese, che afferma di voler difendere i servizi pubblici, potrà rifiutarsi di applicare la direttiva postale!
Inoltre, le ragioni di fondo del rigetto del TCE rimangono valide per questo trattato. Marcato da cima a fondo dal neoliberalismo, sia nei principi che promuove che nelle politiche che favorisce, questo trattato si situa nel prolungamento di quello di Maastricht e di Amsterdam. L’Unine europea resterà uno spazio privilegiato di promozione delle politiche neoliberali. I pochi punti positivi non rimettono in causa fondamentalmente il funzionamento attuale dell’Unione marcato da un profondo deficit democratico con una confusione dei poteri che vede l’organo esecutivo dell’Unione, la Commissione, dotata dei poteri legislativi e giudiziari e che fa del Consiglio un organo legislativo mentre si tratta della riunione degli esecutivi nazionali.
A queste ragioni di fondo si è ora aggiunto il metodo impiegato che conferma la volontà dei governi e della Commissione di escludere i popoli ed i cittadini dal processo di costruzione dell’Unione. La rapidità del processo di elaborazione rischia di limitare la possibilità di pesare sul suo contenuto, di fronte alla complessità del testo. Un primo punto può tuttavia suscitare una larga mobilitazione dei cittadini: far ritirare dal trattato ogni riferimento all’eredità religiosa dell’Europa.
Inoltre, occorre esigere il promuovimento di un referendum. Il TCE è stato rigettato da un referendum. Il “trattato modificatore” che riprende l’essenziale di quest’ultimo deve essere sottoposto direttamente al voto dei cittadini per mezzo del refe
Pierre Khalfa – agosto 2007
Traduzione : Mariasilva Bernasconi e Marie-Ange Patrizio, Coorditrad.
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http://www.france.attac.org/spip.php?article7585

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

Kouchner : Pas d’Union méditerranéenne sans Israël
Dêpèches :: Jeudi, 13 décembre 2007 . 19:44 t.u. ::      
Le ministre français des Affaires étrangères Bernard Kouchner a exclu hier que l’Union méditerranéenne voulue par le président Nicolas Sarkozy puisse se faire sans Israël, comme l’a préconisé la semaine dernière le fils du dirigeant libyen, Seif el-Islam Kadhafi.
« Non, on ne peut pas l’imaginer », a déclaré M. Kouchner, interrogé sur les propos du fils du colonel Kadhafi, à l’issue de son audition à huis clos par la commission des Affaires étrangères et de la Défense du Sénat. « Je pense que l’Union méditerranéenne a ceci d’intéressant que tous les pays de la Méditerranée y seraient associés. (…) Nous ne voulons repousser ni la Syrie, ni Israël, ni la Turquie, personne », a-t-il ajouté. LINK

 

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di RICCARDO BAGNATO 
NEGLI ULTIMI dieci anni hanno cambiato il volto della rete. E oggi festeggiano il loro compleanno. Chiamateli diari online, personal homepage, o più comunemente come sono conosciuti oggi: blog. Sta di fatto che che ogni giorno ne nascono circa 175mila di nuovi, per un totale di circa 113 milioni a dicembre 2007, che pubblicano quotidianamente 1.6 milioni di articoli": Sempre secondo il sito Technorati.com, i blog parlano principalmente giapponese (37%), inglese (36%), cinese (8%), e, sorpresa l’italiano (3%), a pari merito con lo spagnolo.

A dieci anni di distanza, da quel 17 dicembre 1997 quando Jorn Barger coniò la parola "weblog" (da cui è derivato il termine "blog"), il fenomeno è cresciuto a tal punto da non necessitare più lunghe e incomprensibili spiegazioni. I blog informano, denunciano, scoprono. Sono parte ormai integrante dell’informazione online. Ma sono anche un prezioso strumento per capire gusti, mode, interessi di una fetta sempre più importante di nuovi consumatori ed elettori. Nessuna delle principali dotcom mondiali si è fatta sfuggire l’occasione. E nessun candidato alla Casa Bianca ha omesso di promuovere online un proprio blog in occasione delle future elezioni per la presidenza degli Stati Uniti. Alcuni hanno comprato una piattaforma di blog già esistente – come fece Google comprando Blogger.com nel lontano 2003 – altri se la sono costruita in proprio.

E oggi, proprio nel giorno del compleanno del weblog, Jorn Barger ne approfitta per pubblicare sulla nota rivista "Wired" dieci consigli destinati a tutti i blogger. "Un vero weblog" scrive Barger "è l’insieme di tutti link che si intende salvare e condividere". Per questo bisogna evitare che il numero di articoli pubblicati sia superiore a quello dei link, tipico indicatore – avverte il guru – di scarsa umiltà: molto spesso ciò che si vuole pubblicare in realtà è stato già pubblicato altrove. E ancora: è importante citare la fonte, aggiornare di tanto in tanto i propri link preferiti, scegliere alcuni blogger con cui rimanere collegati attraverso applicazioni e strumenti come possono essere gli Rss. Infine avvertire dell’esistenza di eventuali formattazioni non standard o della presenza di file di dimensioni eccezionali. Insomma, buon senso, e il successo è garantito.

(17 dicembre 2007)

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TECNOLOGIA & SCIENZA

La classifica dello Zeitgeist: i milanesi si informano sull’amministrazione
i romani su Portaportese, i napoletani sulla società calcistica
Grillo più cercato su Google 2007
Ecco la lista dei termini più cliccati
Tra i primi dieci anche Youtube, Badoo, Inps, Agenzia
delle entrate, Myspace, Inter, Alitalia, Milan e Superenalotto 

ROMA – "Beppe Grillo" è stata la parola più cercata dagli italiani sulla rete nel corso del 2007. Seguono i termini "Youtube", "Badoo", "Inps", "Myspace" e "Agenzia delle entrate". Questi i cinque nomi più cliccati dell’anno secondo lo Zeitgeist 2007, la classifica dei termini più popolari cliccati sul motore di ricerca Google.it. Subito dopo è la volta di "Inter", "Alitalia", "Milan" e "Superenalotto".

Spirito dei tempi. Alla lista, come precisa l’amministrazione di Google, non appartengono solo le parole più cercate, ma anche quelle che, nel corso dell’anno, hanno dimostrato una crescita interessante rispetto al 2006.

Zeitgeist in tedesco significa "spirito dei tempi" e lo scopo di questa classifica, come spiegano gli stessi amministratori di Google, è quello di "riflettere sui principali temi di interesse degli italiani". Allo Zeitgeist non appartiene alcun contenuto controverso o che possa offendere la sensibilità delle persone e non vi sono parole apparentemente molto cercate, ma non indicative di alcun trend o spirito del tempo.

A quella principale si affiancano alcune liste più dettagliate, che analizzano gli interessi degli italiani in base ad aree tematiche (biglietti, concerti, viaggi, mostre ed altro).

Ecco, ad esempio, la classifica dei biglietti più cercati sul web: il primo posto spetta al re degli stadi, Vasco Rossi. Dopo quelli per i suoi concerti, i più cercati sono i ticket per le partite di Milan, Inter e Italia-Francia, per gli show di Beppe Grillo, per la partita Milan-Manchester e per quelle della Juventus, per lo show Zelig, per la finale di Champions League e infine per i concerti di Ligabue.

Vasco e "il Liga" si aggiudicano inoltre un altro primato, quello per i concerti più popolari. Secondo lo Zeitgeist, i concerti di cui si cercano più informazioni in assoluto in rete sono infatti quelli di Vasco Rossi, Ligabue, Biagio Antonacci, Elisa, Negramaro e Laura Pausini.

I viaggi più popolari sono invece quelli per l’India, Parigi, Londra, le isole Maldive, Cuba e Giappone.

Ma non c’è spazio solo per la musica, le vacanze e le partite di pallone. Agli italiani piacciono anche mostre ed eventi culturali e ai primi posto, tra le più cliccate, ci sono la mostra del Cinema di Venezia, Cezanne a Firenze, Chagall a Roma, Botero a Milano, Gauguin a Roma, De Chirico e Il Simbolismo a Ferrara.

E che dire dello status symbol di ogni anno che volge al termine, i calendari? Il più cercato del 2007 è stato quello di Melita Toniolo, seguito da quelli del film "I Simpson" e del libro "Harry Potter".

Nella ricerca sono stati rappresentati anche i termini più popolari suddivisi per aree metropolitane, da nord a sud Italia. Eccone qualcuna:

A Milano i termini più cercati su Google sono stati "Regione Lombardia", "Atm", "Superenalotto", "Inps", "Beppe Grillo", "Agenzia delle entrate", "MTV", "Alitalia", "Rai" e "Milan".

A Roma: "Portaportese", "Dagospia", "Superenalotto", "Inps", "Beppe Grillo", "Rai", "Alitalia", "Inter", "Badoo" e "Juventus".

A Firenze: "Ataf", "Lamma", "La Nazione", "Fiorentina", "Beppe Grillo", "Enel, "Inps", "Juventus", "Codice Fiscale" e "Ferrovie dello Stato".

A Napoli: "Napoli Calcio", "Ischia", "Circumvesuviana", "Ciao Amigos", "Gazzetta Ufficiale", "Uomini e Donne", "Snai", "Codice Fiscale", "Grande Fratello".

A Palermo: "Gurs", "Palermo Calcio", "Agenzia delle Entrate", "Grande Fratello", "Badoo", "Superenalotto", "Inter", "Rai", "Dragon Ball", "Bollo Auto".

(17 dicembre 2007)

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ECNOLOGIA & SCIENZA
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Il nome del progetto nasce dall’abbreviazione di ‘knowledge’
(conoscenza). Gli articoli ospiteranno anche la foto dell’autore
Google lancia la sfida a Wikipedia
arriva Knol, enciclopedia online

 
NEW YORK – Google cala l’asso Knol e punta a scardinare il monopolio di Wikipedia, la libera enciclopedia online creata nel 2001. "Sarà la prima vera iniziativa con la quale chi ricerca una voce specifica potrà leggere quello che realmente cerca", scrive Udi Manber, vicepresidente del colosso di Mountain View, annunciando l’operazione sul blog della compagnia.

Knol, il nome del progetto, è l’abbreviazione di ‘knowledge’ (conoscenza) e punta a intaccare il ricco mercato di visitatori di Wikipedia, che secondo le rilevazioni della società di mercato ComScore hanno toccato a ottobre negli Stati Uniti un record di 56,1 milioni di unità, meno della metà di Google (131,6 milioni di unità), il motore di ricerca su internet più usato al mondo. Un risultato che è valso al popolare sito della fondazione Wikimedia di San Francisco, l’ottavo posto nella classifica dei siti più visitati negli Usa.

Knol – che sarà un servizio gratuito – nasce con "l’obiettivo di incoraggiare le persone che conoscono una materia particolare a scrivere un articolo autorevole sul tema", spiega Manber. "Vi sono milioni di persone", ha precisato, "che hanno conoscenze utili e che vorrebbero condividerle, vi sono miliardi di persone che ne potrebbero trarre beneficio".

Il progetto è leggermente diverso da quello di Wikipedia, anche se lo spirito di fondo è abbastanza simile. La famosa enclopedia on line, gestita dalla fondazione Wikimedia, si basa su articoli compilati da volontari e divisi in voci. Una volta messi in rete, gli articoli sono aperti al contributo dei lettori che li possono modificare, aggiungendo, togliendo o correggendo le informazioni. Google, invece, inviterà gli internauti a firmare i propri articoli, che saranno affiancati alla fotografia di ciascun autore. "Crediamo che conoscere che ha scritto quello che si legge aiuterà in maniera significativa gli utenti a fare un migliore uso dei contenuti appresi sulla rete", scrive Manber.

"Vogliamo creare un nostro network per diffondere la conoscenza", aggiunge Manber, in previsione della mobilitazione di 75mila collaboratori attivi che scriveranno le voci enciclopediche in oltre 250 lingue diverse. Google Knol sarà costituita da schede monotematiche, ognuna delle quali avrà una pagina a tema.

Da Wikipedia, sportivamente, è arrivato il "benvenuto", affidato a un’email: "Più contenuti liberi disponibili ci sono, meglio è per il mondo".

(15 dicembre 2007)

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Madrid | 18 dicembre 2007
Pil procapite, la Spagna sorpassa l’Italia 
 
Jose’ Luis Rodriguez Zapatero
Chiavi europa
La Spagna ha superato per la prima volta l’Italia per Prodotto interno lordo per abitante, ovvero la ricchezza prodotta diviso la popolazione, passando dal  103% della media comunitaria (Ue-27) nel 2005, al 105% nel 2006, secondo i dati pubblicati da Eurostat. Il Pil italiano pro cápite è sceso dal 105% al 103%. Lo scrive oggi il quotidiano spagnolo El Pais.
Non è la prima volta che la Spagna supera la media comunitaria – è accduto anche nel 2004 – ma è la prima volta che supera l’Italia. Tenendo conto solo della zona euro (13 paesi), la Spagna è al 95,5%, ma passa dalla nona all’ottava posizione. E avanza di quattro punti in un anno rispetto al 90,9% del 2005.
Da Eurostat in Luxemburgo, Paul Konjin, spiega che il sorpasso della Spagna ai danni dell’Italia è poco significativo dal punto di vista statistico perché la differenza è solo di 2 punti, un margine che può rientrare negli errori statistici frutto della comparazione dei prezzi nei due paesi. Tanto che Eurostat preferisce mettere Spagna Grecia e Italia sullo stesso piano.
Ma i dati Eurostat, scrive El Pais, riflettono una dinamica opposta del Pil italiano e spagnolo. Se il Pil spagnolo procapite non ha smesso di crescere, quello italiano non ha smesso di decrescere ad un ritmo simile. Basta ricordare che nel ’95 il Pil procapite italiano era del 104%, 23 punti sopra quello spagnolo, che era intorno al 79% della media europea.

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ECONOMIA
 
Il nostro Paese scivola anche nella classifica della Banca Mondiale
Si avvera la previsione di Zapatero, del settembre dell’anno scorso
Ricchezza pro-capite
la Spagna sorpassa l’Italia
di FRANCESCO MIMMO
 
ROMA – Zapatero ci aveva scommesso su. E ora il sorpasso della Spagna sembra prendere corpo. Almeno in termini di ricchezza dei cittadini. Ieri Eurostat (l’istituto di statistica europeo) ha certificato l’accelerazione della Spagna nella classifica del Pil pro-capite (in pratica il potere d’acquisto) che scavalca così l’Italia che pure rimane sopra la media della Ue.

Gli italiani, secondo le statistiche Ue, l’anno scorso sono risultati un po’ meno ricchi sia rispetto al 2005 sia al 2004. Fatto 100 il valore medio Ue, in Italia il Pil per abitante del 2004 è stato 107, nel 2005 si è abbassato a 105 e nel 2006 si è fermato a 103. In Spagna invece lo standard di potere d’acquisto ha visto un progressivo avanzamento nei tre anni presi in considerazione, per passare da 101 del 2004 fino a 105 del 2006.

Al primo posto per ricchezza si conferma il Lussemburgo con un Pil pro-capite pari a 280 (era stato di 254 nel 2004). In calo invece in Germania (da 117 del 2004 a 114 del 2006). Stessa sorte per la Gran Bretagna (da 122 a 118). Stabile la Francia (111), poco sopra la media dei paesi che hanno aderito alla moneta unica che nel 2006 è stato pari a 110 (111 nel 2004). In fondo alla classifica ci sono Romania (34 nel 2004 e 39 nel 2006), e l’Albania (21 nel 2006) inserita come paese candidato alla Ue.

"La Spagna già supera l’Italia nel Pil pro-capite", annunciavano ieri euforici i media spagnoli commentando i numeri Eurostat. Dati che sembrano andare decisamente nella direzione prevista dal premier spagnolo Josè Luis Zapatero che a settembre dell’anno scorso aveva pronosticato una Spagna sopra l’Italia (e addirittura sopra la Germania) in quattro anni in termini di Pil assoluto. Il Prodotto interno lordo spagnolo, infatti, cresce a un ritmo doppio rispetto a quello italiano: nel 2007 si prevede una crescita del 3,8%, nel 2008 del 3% per una contrazione dell’edilizia, settore trainante dell’economia spagnola colpito dalla crisi dei mutui.  

Un segnale negativo, dunque, per l’Italia. Che conferma il quadro pessimistico che del Belpaese ha dato il New York Times (che ha parlato esplicitamente di "declino"), ma anche il Censis nel Rapporto 2007 pubblicato a inizio mese. E come se non bastasse ieri ci si è messa anche la Banca mondiale che ha stilato una classifica del potere d’acquisto di 146 paesi nel mondo, calcolando Pil, tasso di cambio e inflazione. L’Italia è nona, superata da Russia e India. E ormai anche il Brasile si fa sotto.

(18 dicembre 2007)

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Roma, 11:32
NATALE: 9,6 MLN IN VACANZA; FEDERALBERGHI, E’ CRISI
Nove milioni e mezzo di italiani andranno in vacanza tra Natale e Capodanno. Di questi, saranno oltre due milioni quelli che effettueranno una vacanza lunga, cioe’ dalla vigilia di Natale al primo gennaio. Complessivamente il giro d’affari sara’ di circa 6 miliardi di euro. Ma sono numeri che indicano crisi e non rilancio del settore. E’ la previsione di una indagine realizzata dalla Federalberghi-Confturismo con il supporto tecnico dell’istituto Dinamiche. Previsione che desta preoccupazione perche’ significa che e’ alta la quota di italiani maggiorenni che non faranno vacanza: ammonta infatti al 34,6%, pari a oltre 16 milioni di persone, contro il 27,9% del 2006, pari a 13 milioni di italiani maggiorenni, che si dicono impossibilitati per motivi economici. Un allarme che subito viene sottolineato dal presidente della Federalberghi-Confturismo e vice presidente vicario della Confcommercio, Bernabo’ Bocca, che torna a sollecitare interventi che mirino "a ridare immediata competitivita’ al sistema turistico nazionale ed invertire una tendenza di mercato che sembra sin da ora profilarsi, impostare da subito un piano strategico sul versante del sostegno ai consumi, alle imprese ed alla promozione". Il presidente della Federalberghi aggiunge che dal prossimo anno "ci attendiamo dunque che la manovra economica, impostata dalla Legge Finanziaria, porti realmente piu’ soldi nelle tasche degli italiani, per consentire anche una robusta ripresa dei consumi turistici".

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17 dicembre 2007 – 22.06
 
Mutui: Paulson, crisi colpirà economia Usa su breve periodo
 
NEW YORK – La crisi dei mutui avrà "un impatto negativo" sull’economia Usa nel breve periodo. Lo afferma il segretario al Tesoro, Henry Paulson. "Ad ogni modo, l’economia continuerà a crescere e i suoi fondamentali saranno ancora buoni", aggiunge Paulson, parlando a Orlando, in Florida. "I posti di lavoro – prosegue – continuano a crescere, sostenendo la spesa delle famiglie e i bilanci delle società rimangano in salute e la crescita internazionale sostiene le esportazioni americane".

L’ex numero uno di Goldman Sachs vede anche con favore l’acquisto di prestiti jumbo, oltre i 417mila dollari, da parte delle agenzie semipubbliche Fannie Mae e Freddie Mac. "Un innalzamento momentaneo dei limite imposti alle agenzie servirebbe ad allentare le pressioni sul mercato", spiega Paulson, per il quale "i parlamentari del Congresso con i quali ho parlato, mi hanno opposto resistenze sempre più flebili su questo punto".

Anche secondo il presidente George W. Bush, l’economia americana poggia su basi positive malgrado le turbolenze della crisi dei mutui, ma ci sono nubi "da tempesta" e preoccupazioni all’orizzonte. Parlando a un incontro del Rotary Club di Fredericksburg, in Virginia, Bush ha anche detto che "se fossi un investitore, guarderei agli elementi fondamentali dell’economia di questo Paese, che sono forti".

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Berlin, 12/12/2007
EU is increasingly perceived worldwide as a global player
International opinion survey: US experiences dramatic loss of stature – Rapidly growing awareness of environmental threats – EU recognized as world power
 
The European Union is increasingly perceived all over the world as a global power, and is anticipated to play a major role on the international stage in 2020 after the US, China and Russia. The US’s superpower image is fading, while China and Russia have risen enormously in stature. There was a spike in many parts of the world in people’s awareness of the dangers of climate change and environmental devastation. Climate protection and poverty are currently seen as the most important tasks facing international policy makers. These are some of the findings of a worldwide opinion poll conducted by the German foundation, the Bertelsmann Stiftung.
According to the poll, the European Union already enjoys the reputation of a global player, and was ranked fifth on average by all international respondents. This picture improves for the Europeans as time goes on. When asked which nations and organizations would be global powers in 2020, every third person mentioned the EU. On the other hand, the US lost its undisputed leadership position. While 81 percent of people would still call the US a world power today, only 61 percent expect it to retain this position into 2020. Once again, China, India and – more recently – Russia have greatly boosted their own profiles as global players. With a 57 percent response rate, China was mentioned almost as frequently as the US as a future superpower. They were followed further down by Russia with 37 percent, the EU with 33 percent, Japan with 33 percent and India with 29 percent.

Compared to the United Nations, the EU is perceived as a very strong player in global politics. This applies in all countries surveyed except India, where the UN has a higher standing. And in China, the perception of the EU as a world power rose significantly – by 15 percentage points in the past two years.

When asked if their own country should cooperate more closely with the EU, the vast majority of the international respondents – 74 percent on average – said yes. This desire is particularly strong in China and Russia, where stronger ties with the EU are favoured by 98 percent and 91 percent of respondents, respectively. In the US, these numbers were 78 percent, in Brazil 70 percent, in India 68 percent and in Japan 48 percent.

Recent years have seen a shift in perceptions of what challenges face the world and what goals global players should work towards. For example, in almost all the countries surveyed, awareness of environmental threats skyrocketed, while dangers such as global terrorism were viewed as less urgent. Awareness of environmental problems has risen more than 10 percentage points worldwide since 2005. The percentage of people who viewed climate change and environmental devastation as global threats rose in all countries surveyed, but especially in the US (+22 percentage points), China (+17 percentage points) and Japan (+16 percentage points). On average, 54 percent of all people viewed environmental destruction as the most important threat. Only in Russia (31 percent) and India (28 percent) did a minority of the population view this problem as a major threat. At the same time, the perceived significance of global terrorism showed no change compared to two years ago. The other key challenges cited by respondents were poverty and overpopulation, war, resource scarcity, and religious conflicts and fundamentalism.

What global threats predominate in people’s views varies considerably from country to country. In India, poverty and overpopulation are mentioned most often, while Russians cite the dangers of war, the Chinese resource scarcity and the French religious fundamentalism.

Summarizing the study, Josef Janning, Head of International Relations at the Bertelsmann Stiftung, noted, "People’s future expectations hold enormous sway over policymaking. All over the world, people see the US losing its dominant position and China gaining ground. However, they don’t expect the kind of harmonious, balanced world order you might expect from a global government run by the United Nations. Instead, in almost every country, people plan to rely on their own strength in global competition and want their own countries to play larger roles in spreading peace and stability. If this perspective and expectation takes hold in global politics, we may see a resurgence of the sort of nationalistic brinkmanship between current and future global powers that we experienced so disastrously in 20th century Europe. However, the threat of climate change appears to be encouraging greater political cooperation at the international level."

Gallup International/TNS-EMNID, an opinion research firm, recently questioned 9,000 people in the US, Russia, Brazil, China, India, Japan, Germany, France and the UK for the Bertelsmann Stiftung study. As a benchmark, the findings were compared with a similar Bertelsmann Stiftung survey from 2005. The results of the world power survey were presented at the second meeting of the Bertelsmann Stiftung’s Global Policy Council in Berlin. The council brings together high-calibre experts from various fields and regions to analyze the challenges and opportunities inherent in the dynamics of globalization, the rise of new powers and the emergence of new security risks.

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CRISI IMMOBILIARE: QUEL BLUFF AMERICANO SUI MUTUI
di Paul Krugman
E’ l’intero sistema finanziario nel suo complesso a risentirne e traballare. Inoltre c’è la sofferenza in termini umani: centinaia di migliaia, probabilmente milioni, di famiglie perderanno la casa. La bufala del piano Paulson.

 
Il contenuto di questo scritto esprime il pensiero dell’ autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) – Per gli standard dell’amministrazione Bush, il segretario del Tesoro Henry Paulson è sicuramente una brava persona. Non è visibilmente incompetente, non sta cercando di portarci in guerra fraudolentemente, non giustifica la tortura, non protegge contrattisti corrotti. Le sue iniziative però riflettono le priorità dell’amministrazione per la quale presta servizio. E’ questo ciò che non va del suo piano di salvataggio ideato per risolvere la crisi dei mutui. Secondo un editoriale del New York Times, il piano è «troppo poco, troppo tardi e troppo facoltativo», ma teniamo presente che dal punto di vista dell’amministrazione queste non sono pecche ma tratti caratteristici.
Tra gli osservatori finanziari cresce infatti il consenso su un punto: il piano di Paulson non è concepito più di ogni altra cosa per dare risultati concreti. Suo intento, piuttosto, è creare l’illusione di un intervento, minando in tal modo il supporto politico ai tentativi concreti di aiutare le famiglie nei guai. In particolare, il piano di Paulson è con ogni probabilità un tentativo di togliere supporto a Barney Frank, presidente democratico della Commissione della Camera per i Servizi Finanziari, sostenitore di una proposta di legge che nei casi di bancarotta concederebbe ai giudici il potere di riscrivere i termini dei mutui ipotecari. Ma, come scrive il Congress Daily, «le banche sperano che il piano di Bush per la crisi dei subprime mandi all’aria la proposta della Camera».
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Elizabeth Warren, esperta in bancarotta a Harvard, dice: «Il piano per i mutui subprime dell’Amministrazione è il sogno della lobby delle banche» e, considerati i trascorsi della stessa Amministrazione Bush, ciò non dovrebbe sorprendere più di tanto. Ci sono infatti tre precise preoccupazioni legate all’ondata crescente di pignoramenti in America. La prima è la stabilità finanziaria: se le banche e gli altri enti subiscono enormi perdite per i loro investimenti legati ai mutui, è l’intero sistema finanziario nel suo complesso a risentirne e traballare. La seconda è la sofferenza in termini umani: centinaia di migliaia, probabilmente milioni, di famiglie americane perderanno la loro casa.
Terza, infine, è l’ingiustizia: il boom dei subprime ha comportato prestiti da avvoltoi – prestiti ad alto tasso di interesse rifilati a sottoscrittori che si qualificavano per tassi molto inferiori – su scala spettacolare. Il Wall Street Journal ha scoperto che più del 55 per cento dei prestiti subprime concessi all’apice della bolla edilizia "sono stati erogati a persone con punteggi creditizi abbastanza alti da qualificarsi spesso per prestiti convenzionali a termini di gran lunga migliori". E nel mercato edilizio in forte calo, queste vittime si ritrovano ora nei guai, impossibilitate a rifinanziare.
Questi, dunque, i tre problemi. Il piano di Paulson – altrimenti detto, con il suo nome ufficiale, il "Piano Alleanza di Speranze" – si concentra invece esclusivamente sulla riduzione delle perdite per gli investitori. Qualsiasi minimo aiuto possa fornire ai mutuatari è chiaramente del tutto marginale. E in più non offre assolutamente nulla alle vittime dei prestiti capestro. Il piano prospetta linee guida facoltative in virtù delle quali alcuni mutuatari – e soltanto alcuni – le cui rate del mutuo sono destinate ad aumentare potrebbero ottenere un sollievo temporaneo.
Si presume che ciò debba aiutare invece gli investitori, perché il pignoramento di una casa ipotecata è costoso: ci sono enormi spese legali da affrontare e la casa in genere si vende in seguito a un valore nettamente inferiore a quello del prestito. «Il pignoramento non costituisce un vantaggio per nessuno» ha detto Paulson nel corso di un forum interattivo della Casa Bianca. «Ho sentito dire che da alcune stime risulta che gli investitori dei mutui perdono dal 40 al 50 per cento del loro investimento, se si arriva al pignoramento».
Ma non avrebbero anche da guadagnarci? Non se gli ideatori del piano riescono a evitarlo. Gli aiuti sono limitati ai mutuatari il cui indebitamento dovuto al mutuo sia pari almeno al 97 per cento del valore della casa – il che significa che in molti casi, forse nella maggioranza dei casi, coloro che riceveranno aiuti saranno i debitori che posseggono più di quanto vale la loro casa. Questi soggetti praticamente starebbero altrettanto bene in termini finanziari se, molto semplicemente, lasciassero perdere tutto.
E che dire di coloro che avendo un buon credito sono stati malconsigliati a sottoscrivere pessimi accordi per il mutuo, e che avrebbero invece dovuto essere indirizzati a prestiti con condizioni migliori? Non otterranno niente: il piano di Paulson esclude specificatamente i mutuatari con buoni punteggi creditizi. Anzi, il piano in realtà fornisce ad alcune persone un incentivo a saltare qualche rata del mutuo, perché questo farebbe di loro soggetti a grave rischio creditizio e pertanto diverrebbero candidati ad accedere al piano di aiuti.
In realtà, il tentativo di Paulson di aiutare gli investitori facendo poco o nulla per i mutuatari nei guai e defraudati, potrebbe aver senso se il suo piano riducesse almeno le perdite degli investitori in misura tale da poter seriamente migliorare la situazione finanziaria nel suo complesso. Ma soltanto una minima percentuale di mutuatari subprime si qualificherà per gli aiuti e molti di loro alla fine dovranno comunque affrontare il pignoramento.
Pertanto il piano nel suo complesso è inverosimile che possa ridurre le perdite complessive connesse alla crisi dei mutui, se non di pochi punti percentuali al massimo, non abbastanza quindi per fare granché differenza per la stabilità finanziaria. Effettivamente, gli aumenti dei tassi di interesse che stanno evidenziando una crisi di fiducia nel sistema finanziario non si sono assolutamente contratti all’annuncio del piano. Certo, si potrebbe sempre affermare che il piano di Paulson è meglio di niente. Ma l’alternativa più interessante non è propriamente "niente": è un piano che – come la proposta di Barney Frank – di fatto aiuterebbe concretamente le famiglie dei lavoratori. Ed è questo che l’Amministrazione sta cercando in ogni modo di impedire.
(Traduzione di Anna Bissanti)
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Kadhafi promet des milliards d’euros de contrats à l’Espagne
 
Madrid – Ex-bête noire des Occidentaux, Mouammar Kadhafi a achevé en Espagne un périple européen d’une dizaine de jours. Ce voyage lui a permis d’officialiser sa réhabilitation internationale en échange de promesses de milliards d’euros de contrats.

Le leader libyen a rencontré lundi le chef de gouvernement espagnol José Luis Rodriguez Zapatero. A l’issue de l’entretien, Madrid a évoqué la "possibilité de contrats" pour des entreprises espagnoles d’un total de 11,8 milliards d’euros, dans les secteurs de la défense/aéronautique, de l’énergie et des infrastructures.

Le "guide" libyen a rencontré un groupe de chefs d’entreprise espagnols dans sa tente bédouine, installée dans les jardins du palais du Pardo, l’ancienne résidence officielle du dictateur Franco, aujourd’hui réservée aux invités de marque de l’Etat espagnol.

Cette rencontre pourrait permettre de concrétiser les contrats évoqués de manière purement générale, la veille, par le gouvernement de M. Zapatero, alors que la Libye bénéficie d’une forte croissance depuis la levée des sanctions de l’ONU en 2003 et grâce à la flambée des prix pétroliers.

Dans son communiqué, la présidence du gouvernement espagnol s’est s’étendue sur les perspectives économiques ouvertes par le déplacement mais s’est abstenue d’évoquer la question épineuse des droits de l’homme.

Toutefois, la presse espagnole ne se privait pas d’évoquer une "tournée européenne qui discrédite la cause de la démocratie en Afrique" comme l’écrit le grand quotidien de centre-gauche "El Pais", qui s’interroge sur la différence de traitement entre Kadhafi et le "dictateur du Zimbabwe Robert Mugabe".

Le déplacement de Kadhafi en Espagne n’a cependant pas soulevé le flot de critiques suscitées en France, par le voyage officiel de cinq jours du colonel à Paris.
 
SDA-ATS

18 de diciembre de 2007 – 6:14
 
Gadafi visita España para estrechar lazos económicos
 
 
MADRID (Reuters) – El líder libio, Muamar al Gadafi, se entrevistó el lunes con el presidente del Gobierno español, José Luis Rodríguez Zapatero, en su primera visita oficial a España en sus 38 años en el poder.
 
Gadafi, que la semana pasada firmó acuerdos económicos en Francia por unos 10.000 millones de euros, llegó a Madrid procedente de Andalucía, donde ha pasado el fin de semana en visita privada.
 
El líder libio, que pretende impulsar su papel internacional después de décadas de ostracismo, fue recibido con honores militares por los Reyes en el Palacio del Pardo, en cuyos jardines instalará su jaima, en la que recibe a sus invitados
 
Por la tarde, mantuvo un encuentro con el presidente en Moncloa, donde se firmó un acuerdo de inversiones entre ambos países, centrado principalmente en infraestructuras, energía, aeronáutica y telecomunicaciones por un valor estimado de 17.000 millones de euros, según informó TVE.
 
Las visitas a España y Francia suponen un acercamiento de Gadafi a Occidente, pero han desatado las críticas de quienes creen que se está negociando con un gobierno que no respeta los derechos humanos.
 
Occidente ha abierto la puerta a Trípoli tras su renuncia al programa de armas de exterminio en 2003, la aceptación a indemnizar a las familias de las víctimas de atentados contra aviones de Estados Unidos y Francia y la liberación de seis trabajadores sanitarios extranjeros en julio.

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COMMENTO RELATIVO VISITA LEADER LIBICO GHEDDAFI IN FRANCIA E SPAGNA,
INSERITO sul forum di Paginedidigesa.it

Gheddafi in visita in spagna

Il leader libico Gheddafi dopo aver visitato la francia da qualche giorno fa tappa in spagna, dove come è già avvenuto in francia ha staccato diversi assegni per oltre 10 miliardi di euro(addirittura 17 miliardi di euro in spagna)in commesse per l’industria.

E l’Italia che fa?
Come l’editore di questo forum che cancella il 3d sulla visita di Gheddafi in francia.
Facciamo finta di non vedere, anzi teniamo nascosto il fatto che avrebbero potuti essere sottoscritti accordi con le nostre imprese di diversi miliardi di euro.

Semmai ci interessa il gossip, la relazione di Sarzoky con la modella CarlaBruni, ma riguardo agli interessi generali del paese, quelli sono cose che non riguardano la nostra classe politica.
La casta ha altre cose cui pensare, come per esempio sistemare il carrozzone Alitalia, una vicenda che si trascina da anni ed è costata( e costerà) svariati miliardi di euro alle casse pubbliche.

Oppure ancora si tende a demonizzare una categoria quella dei camionisti che ha avuto il coraggio di effettuare una vera protesta, ma alla quale vengono addebitati gli aumenti dei prodotti ortofrutticoli di questi giorni, mentre nella realtà l’aumento del costo delle arance o della verdura è dovuto al freddo di questi giorni, alle tempeste di neve che impediscono sia i collegamenti e sia la raccolta nei campi.

Intanto le menzogne e le false promesse di questo governo sono giunte oltreoceano:

Prime Minister Romano Prodi attempted to address the issue in September by issuing a decree that 12.5 million of the poorest Italians, 21 percent of the population, will receive 150 euros ($220) next December, the single biggest expense in the 2008 budget. Bank of Italy Governor Mario Draghi on Oct. 10 dismissed the payment as “a short-term fix,” and said the spread of poverty was holding back Italy’s economy.(link)
O il paradosso si raggiunge nelle quote degli immigrati ai quali verrà concesso il permesso di soggiorno.
Sembra che vi sia una richiesta di 50mila colf e badanti. Ma se queste persone non conoscono la nostra lingua le nostre abitudini come si può affidare loro la custodia di un anziano o la cura della casa?

In ogni modo è possibile che a livello politico, nell’ambito economico nessuno si indegni per il fatto che Gheddafi abbia staccato assegni per decine di miliardi di euro in commesse ed appalti a ditte francesi e spagnole, mentre in Italia siamo rimasti a secco?Ma è possibile che questa gente(i nostri politici) non possa essere mandata a casa?
Che non vi sia un entità superiore che possa stramaledire a vita queste persone?

PdD(forum)

18 décembre 2007 – 00:36
 
Bush: des "nuages d’orage" se forment sur l’économie américaine
 
Fredericksburg – Le président George W. Bush a reconnu lundi que des "nuages d’orage" se formaient au-dessus de l’économie américaine. Au beau milieu des craintes de récession, il a cependant assuré que celle-ci restait forte.

"C’est sûr, il y a des nuages d’orage et des inquiétudes, mais les fondations sont bonnes, et nous nous sortirons de cette période", a dit M. Bush, lors d’une réunion avec des entrepreneurs à Fredericksburg (Virginie). Il a admis être lui-même "inquiet" devant le retournement de l’immobilier, qu’il "faudra un certain temps pour traverser la bulle immobilière".

"J’espère que vous croyez que je suis un type optimiste. Nous en avons vu beaucoup au cours des sept dernières années, vraiment", a-t-il dit en faisant référence à la récession et aux attentats du 11 septembre. "Mais je suis totalement convaincu de la force et de la vitalité de ce pays".

Il a cependant refusé de se prononcer sur la santé des marchés boursiers en 2008. "Au début de ma présidence, on m’a interrogé sur le marché, et je croyais que j’étais un génie de la finance, et je me trompais", a-t-il plaisanté. Cependant, "les fondamentaux (de l’économie) de ce pays sont forts", a-t-il assuré.

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17 décembre 2007 – 04:51
 
Lancement de l’autoroute Atlantique-Pacifique
 
La Paz – Les présidents de Bolivie, Evo Morales, du Chili, Michelle Bachelet, et du Brésil, Luiz Inacio Lula da Silva, ont conclu dimanche à La Paz un accord sur le lancement de l’autoroute Atlantique-Pacifique. Elle traversera d’ouest en est le continent sud-américain.

Ce gigantesque projet devrait être terminé en 2009, selon le président brésilien et devrait dynamiser les relations commerciales entre la Bolivie, le Chili et le Brésil. "Ce n’est pas seulement une accolade marquant la fraternité et la solidarité mais c’est avancer dans l’intégration des pays de la région", a déclaré la présidente chilienne, Mme Bachelet, souhaitant que cette route améliore la vie pour tous les habitants d’Amérique du sud.

Selon les hommes d’affaires sud-américains, la future autoroute, longue de 4700 km, facilitera les exportations brésiliennes vers l’Asie et les entreprises asiatiques en retour auront plus facilement accès aux 180 millions de consommateurs brésiliens. 70% des exportations de la Bolivie – qui n’a pas d’accès à l’océan Pacifique – seront assurées par cette autoroute transcontinentale, a déclaré pour sa part la présidente de l’administration des autoroutes boliviennes, Patricia Ballivan.

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18 de diciembre de 2007 – 9:45
 
Un torrente de partículas arrasa una galaxia vecina
 
 
WASHINGTON (Reuters) – Una galaxia "estrella de la muerte" está despidiendo un potente torrente de partículas y radiación magnética que probablemente está aniquilando cualquier forma de vida en su camino, especialmente en una galaxia vecina, según dijo el lunes un grupo de astrónomos.
 
Aunque estos torrentes se han visto antes, ésta es la primera vez que se observa uno arrasando otra galaxia, según el informe publicado en The Astrophysical Journal.
 
No hay necesidad de preocuparse porque este rayo mortal afecte a la Tierra, ya que estas las galaxias están a 1.400 años luz de distancia, siendo un año luz la distancia que recorre la luz en un año, unos 10 billones de kilómetros.
 
Las dos galaxias, que según explicaron parecen estar fundiéndose, y la perturbación en el campo magnético causado por su movimiento podría haber despertado un gigantesco agujero negro latente en una de las galaxias.
 
Los datos del observatorio de rayos-X Chandra de la NASA muestran que ambas galaxias poseen enorme agujeros negros en sus centros, y que 3C321, la galaxia más grande, está emitiendo este torrente de energía y partículas. La galaxia más pequeña, sin nombre, parece haberse puesto en el camino de este torrente.
 
Los expertos se mostraron de acuerdo en que ambas galaxias podrían tener sistemas planetarios, pero también en que ninguna forma de vida en un planeta podría sobrevivir a la explosión.
 
"Primero, ese enorme campo magnético de radiación gamma destruirá la capa de ozono", explicó a los periodistas el responsable del estudio Dan Evans, del Centro Harvard-Smithsonian de Astrofísica, en una conversación telefónica.
 
Y el campo magnético de cualquier planeta se vería comprimido, añadió, dejándolo vulnerable a las tormentas solares de la estrella en torno a la que giran.
 
"Hay entre decenas y cientos de millones de estrellas en el camino. Es casi seguro que algunas de esas estrellas tienen planetas", dijo Martin Hardcastle, astrofísico de la Universidad británica de Hertfordshire.
 
No está claro por qué la galaxia más grande comenzó a emitir estos potentes rayos. "Sabemos cómo puede accionarse un agujero negro con la interacción de dos galaxias, porque afecta a un campo de gravedad que antes era estable", explicó Neil de Grasse Tyson, director del Planetario Hayden, en el Museo Americano de Historia Natural de Nueva York.
 
Sin embargo, puede que no todo sea muerte y destrucción. Estos sucesos pueden llevar a la creación de "guarderías estelares" y al nacimiento de nuevas estrellas, según Tyson.
 
/Por Maggie Fox/

Reuters (IDS)LINK

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Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

L’Iran déclare la guerre au dollar
17 décembre 2007
L’Iran a décidé de renoncer à la monnaie américaine pour l’exportation de son pétrole. Le ministre iranien du Pétrole Gholam Hossein Nozari a déclaré : « Nous avons cessé de vendre notre pétrole brut en devises américaines dans le cadre de notre politique d’échange de pétrole contre des devises autres que le dollar. »
 
Par Igor Tomberg, pour RIA Novosti, 14 décembre 2007
L’Iran se préparait depuis longtemps à renoncer à la monnaie américaine, puisqu’il avait progressivement réduit ces deux dernières années la part des pétrodollars dans ses recettes. En tant que motif à ce renoncement, on invoque la dévalorisation du billet vert : "La chute du cours du dollars US cause un grave préjudice aux pays exportateurs de pétrole, il n’y a plus de confiance dans le dollar". Mais il y a certainement un calcul purement politique parmi ces motivations. Comme l’a expliqué fin novembre le président du parlement iranien Gholam-Ali Haddad-Adel au cours d’une conférence de presse à Bakou, "l’introduction dans le monde de rapports commerciaux en dollars assure aux Etats-Unis la possibilité de faire pression sur certains pays".
Plusieurs représentants de l’OPEP ont émis des doutes quant au bien-fondé de l’emploi du dollar en qualité d’unité de compte dans le commerce des ressources énergétiques, cela concerne avant tout les adversaires les plus farouches des Etats-Unis : le président iranien Mahmoud Ahmadinejad et le président vénézuélien Hugo Chavez. M. Ahmadinejad a invité ses partenaires au sein du cartel pétrolier à renoncer au dollar dans le commerce du pétrole : "Dans les transactions économiques, commerciales et pétrolières, il faut le remplacer (le dollar) par une autre monnaie, plus fiable". Bien que l’Iran occupe la deuxième place au sein de l’OPEP pour le volume de pétrole fourni sur les marchés mondiaux, cette idée n’a pas encore rallié le soutien de la majorité des membres de l’organisation. L’Arabie Saoudite a bloqué en novembre la proposition de l’Iran et du Venezuela d’examiner la question du refus des pays de l’OPEP de vendre du pétrole en dollars, néanmoins, six pays du golfe Persique étudieront de nouveau la possibilité de vendre leur brut contre d’autres devises.
Le fait que le vice-président du conseil d’administration de Gazprom Alexandre Medvedev ait déclaré le 30 novembre à New York que le monopole russe du gaz envisageait de vendre du pétrole et du gaz contre des roubles, plutôt que contre des dollars ou des euros, est significatif. Les dirigeants du géant gazier sont contraints de changer de politique monétaire en raison de la situation sur les marchés financiers mondiaux. Le calendrier de l’adoption de cette décision n’est pas précisé mais selon M. Krouglov, directeur du département économie et finances de Gazprom, le passage aura lieu plus tôt qu’on ne le pense.
Dans le contexte d’affaiblissement incessant de la monnaie américaine, le rattachement des exportations au dollar est très désavantageux. Dans le cas du gaz, le prix est fixé dans des contrats à long terme et, au cours de leur réalisation, le dollar peut perdre 15 ou 20% de sa valeur compte tenu des taux actuels de sa chute. Ainsi, depuis début 2007, le dollar a déjà perdu plus de 10% par rapport au panier de devises. Par conséquent, les recettes des exportateurs russes de pétrole et de gaz ont diminué.
La baisse de l’attrait pour le dollar dans le monde entier est un fait indéniable. L’euro gagne en popularité. La diversification considérable des opérations de change illustre parfaitement ce processus. Par exemple, en 2005, la part des autres monnaies constituait 8,1% de la somme globale des transactions. Cette année, cet indice a déjà dépassé 18% et, comme l’assurent les spécialistes, ce chiffre n’a pas atteint sa limite, loin s’en faut.
Les monnaies de plusieurs pays commencent à rejoindre le pool des principales monnaies de réserve. Le Conseil de coopération du Golfe, dont font partie, entre autres, les grands exportateurs proche-orientaux d’hydrocarbures, a annoncé son intention de lancer le "dinar du Golfe", monnaie régionale commune qui pourrait être mise en circulation d’ici trois ans et avoir la même importance que le dollar et l’euro. Le conseil regroupe, en plus des Emirats arabes unis, l’Arabie Saoudite, Bahreïn, le Koweït, le Qatar et le Sultanat d’Oman.
Fin novembre 2007, Omar bin Sulaiman, gouverneur du Dubai International Financial Center (DIFC), a déclaré dans une interview au journal Al Bayane qu’au moins trois des pays producteurs de pétrole de la péninsule arabique avaient l’intention de renoncer au rattachement de leurs monnaies nationales au dollar US. Il n’a pas cité ces pays ni précisé à quel moment cette décision serait prise, se bornant à indiquer que cette question était actuellement examinée par la Banque centrale des Emirats arabes unis. Selon son gouverneur, Sultan Ben Nasser al-Suwaidi, la BC "étudie sérieusement le renoncement au rattachement du dirham au dollar US et le changement de politique monétaire". Le 15 novembre, il a précisé que les Emirats renonceraient probablement au rattachement du dirham au dollar en raison de l’instabilité de celui-ci et passeraient au panier de devises. De l’avis général, la chute du dollar se poursuivra, ce qui continuera à favoriser un changement d’attitude à son égard.
Début 2007, la Chine a décidé catégoriquement de se débarrasser d’une bonne partie des dollars de ses réserves d’Etat. A ce jour, les réserves de devises de la Chine comportent 800 milliards de dollars. Pour l’essentiel, ce sont des obligations émises par le département américain du Trésor. D’après les prévisions, la Chine comptera cette année mille milliards de dollars de créances du gouvernement américain. La nouvelle politique de Pékin, même si elle ne sape pas les positions globales du dollar, entraînera une présence plus importante des monnaies et des titres de l’Union européenne et des Etats voisins de la Chine dans les réserves chinoises de change. Les analystes prévoient une diminution d’environ 15% de la part des dollars dans les réserves de devises de la Chine. Notons que 1% des réserves chinoises de change représente environ 14,5 milliards de dollars.
Début novembre, le vice-président de la Banque centrale de Chine Xu Jian a indiqué : "le statut du dollar en tant que monnaie mondiale n’est pas solide, la fiabilité des actifs en dollars se réduit. J’estime que le dollar continuera à s’affaiblir en 2008 à cause de l’accroissement du déficit commercial des Etats-Unis". En même temps, Pékin déploie de grands efforts en vue de rehausser le rôle de sa monnaie en Asie et dans le monde entier. Le gouvernement chinois utilise progressivement sa monnaie nationale aussi bien pour effectuer des règlements avec les pays voisins que pour ses investissements à l’étranger. Le rôle de la livre sterling s’est considérablement accru ces dernières années. La monnaie britannique occupe actuellement la troisième place parmi les monnaies de réserve les plus répandues. Entre 2000 et 2007, la part de l’épargne en livres sterling dans le monde entier est passée de 2,8 à 4,2%.
Certes, le renoncement total au dollar en qualité de monnaie de réserve mondiale est irréaliste, car cela pourrait provoquer un effondrement des finances globales. Mais des signes de plus en plus nombreux témoignent de l’aspiration des nations à réformer le système fondé sur le dollar. Naturellement, les premiers à réclamer cela sont les pays que les Etats-Unis ont froissés : l’Iran et le Venezuela. Mais ils sont également suivis par des Etats dont le bien-être dépend directement du cours du billet vert. Il s’agit des pays qui possèdent d’immenses réserves de devises (Chine) et des exportateurs d’hydrocarbures (Etats arabes, Russie, Iran et Venezuela).
Dans le cas du pétrole et du gaz, le renoncement aux cotations en dollars pourrait entraîner la réforme de tout le système commercial fondé sur le billet vert et les bourses occidentales : celles de New York et de Londres. Cela étant, les pays producteurs de pétrole (et, compte tenu de la formation des prix, les pays producteurs de gaz) n’ont aucune possibilité d’influer sur les prix de leur principal produit. La Russie se trouve traditionnellement dans cette situation. Ces derniers temps, l’influence de l’OPEP sur les prix du pétrole s’est considérablement affaiblie. Une situation dans laquelle les prix du combustible sont fixés par le camp des pays acheteurs est anormale. Par conséquent, profitant de l’affaiblissement évident du dollar (et de l’atmosphère psychologique qui l’entoure), les pays producteurs commencent à lutter pour renverser ce système. La hausse du prix des hydrocarbures et la crainte que leurs réserves ne s’épuisent prochainement jouent en faveur de ces Etats. Le moment est bien choisi. A présent, on peut s’attendre à un rapprochement entre les pays producteurs qui s’effectue déjà, par exemple, dans le secteur du gaz (les premiers pas vers la création d’une "OPEP du gaz" ont été faits en mars 2007 à Doha).
Evidemment, le passage à l’euro (ou aux rouble, dinar, yuan…) pour le paiement des livraisons de pétrole ne peut se faire du jour au lendemain. Cependant, la démarche de l’Iran, surtout si ce dernier est suivi dans cette voie par d’autres pays producteurs de pétrole, est potentiellement capable d’ébranler fortement la toute-puissance du dollar dans le commerce mondial.
Igor Tomberg est chercheur au Centre d’études énergétiques de l’Institut d’économie mondiale et de relations internationales de l’Académie russe des sciences.
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Publication originale NovostiLINK

 

Italie : des salariés condamnés à la soupe populaire
17 décembre 2007
En Italie comme en France les salaires sont à la traîne de l’inflation. Plus de 7 millions d’italiens vivent sous le seuil de pauvreté et même ceux qui ont un emploi ne parviennent plus à joindre les deux bouts. La hausse des taux d’intérêts menace 400 000 foyers de perdre leur logement. Pour s’en sortir, des salariés en sont réduits aux soupes populaires.
 
Par Flavia Krause-Jackson et Flavia Rotondi, Bloomberg, 17 décembre 2007
Vêtu de son plus bel habit du dimanche, Fausto Cepponi, a emmené sa femme et de son fils âgé de 7 ans, dîner en ville. A une soupe populaire.
« Je n’aurais jamais pensé me retrouver dans cette situation, » déclare Cepponi, qui travaille comme agent de sécurité. Il est en train de dîner dans une cafétéria de 800 places, proche de la gare de Rome, qui a été ouverte par une organisation charitable. « J’ai un boulot, j’avais une voiture, mais tout est devenu si cher, et ce que je gagne ne suffit plus. Je suis pris de panique dès la troisième semaine du mois. »
Avec des salaires bloqués, les prix de l’alimentation, des pâtes, du pain qui augmentent et les montants des remboursements de crédits immobiliers qui s’envolent à la hausse, les efforts pour faire bonne figure, « fare la bella figura » en italien, ne parviennent pas à dissimuler que des milliers de salariés italiens n’arrivent plus à joindre les deux bouts. On les appelle les « nouveaux pauvres, » d’après le titre d’un ouvrage publié cette année.
Le Premier Ministre Romano Prodi a tenté d’améliorer leur situation en promulguant en septembre dernier un décret qui alloue aux 12,5 millions des italiens les plus pauvres – 21% de la population – un secours de 150 euros. Cette somme, qui sera versée en décembre, représente la plus grosse dépense du budget cette année. Le gouverneur de la Banque d’Italie, Mario Draghi, a qualifié le 10 octobre cette mesure de « solution à court terme, » estimant que l’extension de la pauvreté pesait sur l’économie italienne.
« C’est une forme de pauvreté cachée, humiliante, qui est apparue, et que les statistiques officielles ne montrent pas, » juge Giampiero Beltotto, l’auteur des « Nouveaux Pauvres. » « C’est celle d’une personne qui achète au supermarché un poulet le jour de sa date de péremption, plutôt qu’un steak chez le boucher. »
Salaires bloqués
Cette situation reflète un malaise grandissant à travers l’Union Européenne. Au Royaume Uni, le nombre des personnes menacées de tomber sous le seuil de pauvreté a augmenté l’année dernière, pour la première fois depuis 1997, selon l’Institut des Etudes Fiscales de Londres. En France, les deux tiers des personnes sondées en novembre par l’Ifop déclarent que leur pouvoir d’achat a baissé. Ce chiffre a augmenté de 6% depuis le début de l’année.
La Commission Européenne prévoit que le rythme de la croissance économique se ralentira l’an prochain, avec le prix record atteint par le pétrole qui pénalise le pouvoir d’achat des ménages, le niveau de l’euro qui pèse sur les exportations et les conséquences de la crise immobilière aux USA.
Les italiens sont parmi ceux qui ont été le plus durement touchés. Le salaire moyen italien a augmenté de 13,7% de 2000 à 2005 C’est l’une des plus faible hausse de l’Union Européenne, à part l’Allemagne et la Suède, qui bénéficient de salaires les plus hauts de l’Union, selon les chiffres de l’institut Euripes de Rome. La moyenne européenne s’établit à 18% et les salaires au Royaume Uni ont grimpé de 27,8%.
Cepponi, qui n’a pas eu d’augmentation depuis 3 ans, gagne environ 8 400 euros par an. Franca, sa femme, a pris un emploi à temps partiel dans une épicerie pour améliorer l’ordinaire. En Italie, le revenu moyen d’un ménage est de 22 053 euros par an.
Des gens que nous connaissons
Le nombre des italiens vivant sous le seuil de pauvreté s’est élevé à 7,5 millions en 2006, au lieu de 7,4 millions en 1997, et ceci malgré les promesses de prospérité renforcée qui avaient accompagné l’abandon de la Lire pour l’Euro. Selon un rapport de l’Istat publié en 2006, près de 9% des salariés italiens sont en danger de tomber dans la pauvreté, définie par un revenu inférieur à 970 euros par mois pour un couple.
Plus encore, la population concernée se transforme, avec une pauvreté qui rattrape désormais les salariés qui appartenaient auparavant à la classe moyenne, déclare Guerino du Tora, qui dirige la filiale romaine de Caritas, l’ONG catholique gèrant le restaurant où Cepponi va manger.
Dans le nord industriel de l’Italie, qui est la région la plus riche, le nombre de familles pauvres était de 517 656 l’an dernier, en augmentation de 17% depuis 2005.
« Nous devons réévaluer notre concept de la pauvreté » déclare Tora. « Ce n’est plus maintenant le pauvre anonyme, sans domicile, que l’on voit dans la rue. Ce sont des gens que nous connaissons. »
Benoît XVI
La hausse des taux d’intérêts a renforcé les difficultés. Un quart des propriétaires de logement ne peut plus faire face à des remboursements d’emprunts qui ont augmenté de 50% en deux ans, indique l’association de consommateurs Adiconsum. Le budget 2008 du gouvernement, s’il est approuvé, créera un fonds doté de 10 millions d’euros pour venir en aide aux 400 000 familles qui risquent de perdre leur logement.
Les loyers représentent plus de la moitié des revenus des familles gagnant moins de 30 000 euros par an, chiffre en augmentation d’un tiers depuis l’an 2000, selon Guido Lanciano, de l’Union Inquilini, une organisation de locataires. Chaque jour neuf locataires sont expulsés à Rome pour loyer impayé, contre cinq en 2000.
La situation critique des ouvriers a amené le Pape Benoit XVI à intervenir, comme il ne le fait que rarement, sur la situation intérieure, lorsque les journaux, dont la Repubblica, ont relaté qu’un ouvrier d’usine de 43 ans s’est pendu après que sa femme ait perdu son emploi à temps partiel, les mettant dans l’incapacité de payer les 500 euros de remboursement mensuel d’emprunt.
Emplois précaires
« La précarité des emplois ne permet pas aux jeunes de fonder une famille et compromet gravement le développement naturel de la société, » a mis en garde le pape, le 18 octobre.
Même pourvus d’un emploi, les italiens doivent se battre avec le coût de la vie. En octobre, l’autorité de régulation de la concurrence a ouvert une enquête sur l’augmentation de 20% du prix des pâtes, après que les consommateurs aient lancé « Basta Pasta ! » une campagne de boycott du plat national italien.
Stefano, un ancien postier qui souhaite garder l’anonymat, déjeune dans un autre restaurant de Caritas à Rome. L’homme, âgé de 58 ans, raconte que les employeurs ne l’engagent pas car il est trop vieux.
« Je traverse une mauvaise passe ce mois-ci, et je dois venir ici, » déclare-t-il tout en faisant la queue pour un plat de pâtes. « Que pourrais-je faire d’autre ? »
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Publication originale Bloomberg, traduction Contre Info
Référence

VERSIONE ORIGINALE INGLESE

Dec. 17 (Bloomberg) — Dressed in his best Sunday suit, Fausto Cepponi took his wife and seven-year-old son out for dinner — at a soup kitchen.
“I never thought I would be in this position,” said Cepponi, 45, a security guard, dining in an 800-seat charity cafeteria near Rome’s main train station. “I have a job, I had a car, but everything has become so expensive and what I earn just isn’t enough. I panic every third week of the month.”
With salaries on hold, prices for staples such as pasta and bread rising and mortgages soaring, efforts to keep up appearances — “fare la bella figura” in Italian — can no longer disguise that thousands of job-holding Italians are failing to make ends meet. They’ve been labeled “The New Poor,” the title of a book published this year.
Prime Minister Romano Prodi attempted to address the issue in September by issuing a decree that 12.5 million of the poorest Italians, 21 percent of the population, will receive 150 euros ($220) next December, the single biggest expense in the 2008 budget. Bank of Italy Governor Mario Draghi on Oct. 10 dismissed the payment as “a short-term fix,” and said the spread of poverty was holding back Italy’s economy.
“It’s a hidden and humiliating kind of poverty that has emerged, one that the official statistics can’t show,” said Giampiero Beltotto, author of “The New Poor” (2007, 201 pages, $19). “It’s the person in the supermarket buying the chicken with today’s expiration date rather than a steak at the butcher.”
Stalled Salaries
The situation reflects a growing malaise across the European Union. In the U.K., the number of people in danger of falling into poverty rose last year for the first time since 1997, according to the Institute for Fiscal Studies in London. In France, two-thirds of those polled in November by Ifop said their purchasing power had shrunk, a 6 percentage point jump since the start of the year.
The European Commission forecasts the pace of economic growth will slow next year as record oil prices sap household purchasing power, the euro’s rise to a record crimps exports and fallout from the U.S. housing slump spreads.
Italians have been among the hardest hit. The average Italian salary rose 13.7 percent from 2000 to 2005, the smallest increase in the EU outside of Germany and Sweden, which boast some of the region’s highest wages, according to research institute Eurispes in Rome. The EU average was 18 percent, and U.K. salaries jumped 27.8 percent.
Cepponi, who hasn’t had a pay raise in three years, earns about 8,400 euros a year. His wife, Franca, took a part-time job at a grocery store to help out. The average Italian household earns 22,053 euros a year.
`People We Know’
The number of poor Italians rose to 7.5 million in 2006, from 7.4 million in 1997, even after promises that trading the lira for the euro would boost prosperity. Almost 9 percent of employed Italians are in danger of falling into poverty, a 2006 Istat report shows. Relative poverty is defined as a household of at least two making less than 970 euros a month.
More importantly, the composition is changing, with poverty spreading to working people who were once part of the middle class, said Guerino di Tora, who runs Rome’s branch of Caritas, the Catholic charity that runs the hall where Cepponi eats.
The number of poor families in Italy’s industrial north, the wealthiest part of the country, rose to 591,656 last year, a 17 percent increase from 2005.
“We have to revisit our concept of poverty,” di Tora said. “It’s no longer the poor person defined as the nameless, homeless person in the street. It is people we know.”
Pope Benedict XVI
Rising interest rates have compounded difficulties. One in four homeowners can no longer afford their mortgage payments, which have risen 50 percent in two years, consumer association Adiconsum says. The government’s 2008 budget, if approved, will create a 10 million-euro fund to help about 400,000 families that risk losing their homes.
Rents today sap more than half the income of families earning less than 30,000 euros a year, up from a third in 2000, said Guido Lanciano of Unione Inquilini, which represents tenants. Each day nine tenants are evicted in Rome because they can’t afford rent, up from about five daily in 2000.
The plight of workers compelled Pope Benedict XVI to make a rare foray into Italian domestic issues after newspapers, including la Repubblica, reported that a 43-year-old factory worker hung himself after his wife lost her part-time job, making it impossible to meet a 500-euro monthly mortgage payment.
`Precariousness of Jobs’
“The precariousness of jobs doesn’t allow youngsters to build a family and seriously compromises the genuine and complete development of society,” the pope said Oct. 18.
Even with jobs, Italians are struggling with the cost of living. In October, the antitrust authority opened a probe into a 20 percent increase in the price of pasta after consumer lobbies led the Basta Pasta! boycott of Italy’s national dish.
Stefano, a former post office clerk who declined to give his family name, eats lunch at another Caritas cafeteria in Rome. The 58-year-old says employers won’t hire him because he’s too old.
“I hit a low patch this month and had to come here,” he says while standing in line for a plate of pasta. “What else could I do?”
To contact the reporter on this story: Flavia Krause-Jackson in Rome at fjackson@bloomberg.net
Last Updated: December 16, 2007 19:07 EST

LINK

Nicolas Sarkozy propose le déploiement d’une force internationale en Palestine
lundi 17 décembre
   
Le président français Nicolas Sarkozy a proposé lundi le déploiement d’une force internationale, "le moment venu et les conditions réunies, en appui aux services de sécurité palestiniens".
Dans son discours à l’ouverture de la Conférence des donateurs pour les Territoires palestiniens, le président Sarkozy a affirmé que les objectifs de la conférence sont d’apporter un soutien immédiat à l’ensemble de la population des territoires palestiniens, un soutien à l’économie palestinienne, et d’accompagner l’édification progressive d’un Etat palestinien moderne.
Il a promis une aide d’un peu plus de 200 millions d’euros (300 millions de dollars) sur les trois prochaines années pour accompagner la création d’un Etat palestinien, dont 65 millions d’aide budgétaire, 33 millions d’aide humanitaire, et 96 millions d’aide projets dans le domaine des réformes à effets macro- économiques.
Dans son discours à la conférence, le secrétaire général des Nations Unies Ban Ki-moon a invité les partenaires donateurs à investir dès maintenant, à se montrer "généreux" et à apporter un "appui financier soutenu" au cours des trois prochaines années.
Le Premier ministre palestinien Salam Fayyad a réclamé à cette occasion une aide internationale de 5,6 milliards de dollars, pour son programme de réforme et de développement 2008-10.
L’Union européenne a promis à cette occasion une contribution de 440 millions d’euros aux Palestiniens (650 millions de dollars). Le montant total des aides promises doit être annoncé à l’issue de la réunion dans l’après-midi.
Sources  Xinhuanet
Référence

 

Ecuador to Evict U.S., Offer Air Base to China
By April Howard, AlterNet. Posted December 13, 2007.
When the U.S. Air Force Southern Command’s 10-year usage rights for Ecuador’s Manta air base expire in 2009, it can expect to be evicted.
An earlier version of this article appeared on UpsideDownWorld.
When the U.S. Air Force Southern Command’s 10-year usage rights for Ecuador’s Manta air base expire in 2009, it can expect to be evicted in favor of China.
President Jamil Mahuad signed a 10-year lease agreement with the U.S. military in 1999. The Manta base is not geopolitically important for U.S. national security, but the Southern Command (South Com) currently uses it to combat illegal cocaine trade in the "source zone" of Colombia, Peru and Bolivia. The air base shares a common runway with Quito’s Eloy Alfaro International Airport terminal, but the air base has a separate office for cargo, while the airport handles passengers. About 475 U.S. military personnel are stationed at the air base under a 10-year agreement signed with Quito in November 1999, which is due to expire in 24 months.
Acording to Latin Americanist Marc Becker, the agreement with the U.S. military "has proved to be unpopular and, some argue, unconstitutional. The purported purpose of the FOL was to help interdict drug shipments from neighboring Colombia, but opponents contend that the U.S. government has … move[d] well beyond that mandate into counterinsurgency and anti-immigrant activities." There are also complaints that the base was consolidated by expropriating land from indigenous groups and small farmers, and that it is being used by Colombian pilots and as a center of anti-guerilla intelligence as a part of Plan Colombia, and for the targeting of alleged terrorist groups. From March 5 to 9, 2007, more than 400 activists gathered in Manta for the first International Conference for the Abolition of Foreign Military Bases. They chose Manta due to the new government’s stance against continued U.S. presence.
When Ecuadorian President Rafael Correa was campaigning in 2006, he promised to make the contract renewal with the U.S. contingent on a reciprocal agreement allowing Ecuador to build or station military on an air base in Miami, Fla. The United States rejected this idea, and Correa offered the base to the Terminales del Ecuador, a subsidiary of Hong Kong-based Hutchison Port Holdings [HPH] during to Beijing on Nov. 21. China would most likely use the base for cargo transit in trade rather than for security purposes. Strategic Forecasting (STRATFOR) predicts that Correa’s offer is "aimed partly at maintaining domestic support, partly at extracting preferential trade access to U.S. markets (something Washington probably will cave in to and deliver), and partly at securing Chinese capital for fulfilling Manta’s future role as the largest Sino-Latin American trade trans-shipment hub on the South American west coast."
Correa’s presidential campaign also focused on the need to improve regional transport and trade in order to compete with ports in Peru, Colombia and Chile, and to link to industry in Brazil. Some of the roads planned between the Andean countries would also connect waterways linking Ecuador and Brazil. The agreement will create profits for Brazil as well as Ecuador, as the two countries recently signed an agreement to link Manta to the city of Manaus by railway or highway corridor. According to the government, the details of this project have already been discussed with other interested Chinese investment firms. This corridor project is a key part of IIRSA, the South American regional infrastructure integration initiative.
Since before his election, Correa has also emphasized the necessity of attracting Asian investment in order to upgrade infrastructure and therefore expand regional and international trade. In offering the Manta base to HPH, he said that he was offering Chinese investors a "geopolitical window" that would make Ecuador a bridge for accessing markets in South America.
Chinese investment and U.S. relations
Chinese investment in Manta began when Chinese, Chilean, Singaporean, Japanese and U.S. port companies expressed interest in the Manta port (not the air base). In October, HPH gave a $1 million bond to the MPA . In November 2006, HPH was the only final bidder and the Manta Port Authority (MPA) gave HPH operating concessions in exchange for $486 million (added to $55 million promised by the MPA) to upgrade facilities over the next 30 years.
According to Business News Americas, Hutchinson Port Holdings (HPH) is the port-operating subsidiary of Hong Kong’s Hutchison-Whampoa. The company focuses "on trans-Pacific/Atlantic corridor cargo trade" and has a portfolio of ports in Latin America. "In 2001 it bought out Philippines-based port operator ICTSI, which had various Latin American interests in Argentina, Mexico and the Bahamas. In Panama, HPH’s Panama Port Co. operates the ports of Cristobal and Balboa. Manta is the closest port to Asia on South America’s west coast." Manta is a desirable port for HPH as it is the closest port to Asia on Latin America’s west coast. The Manta deal could also help smooth out a disagreement between Ecuador and China’s major state energy players over the October increase of Ecuador’s windfall oil tax. The next steps would involve HPH accepting the post-2009 concession for Manta’s air base (it already controls the sea port), and another Chinese investment firm’s participation in financing the road-rail network between Manta and Manaus, Brazil.
According to STRATFOR, "While this is not the first time China has been made such an offer by a Latin American nation, it is the first time U.S. geopolitical interests in the region have been so closely brushed up against." They forecast that "from a security perspective, a Chinese military presence in the Western Hemisphere would be viewed by the United States as a hostile move and would almost inevitably invite the Pentagon’s ire." However, they predict that Beijing, and especially the People’s Liberation Army, will try to maintain good relations with the United States to prevent remunerative trade policies such as tariffs.
There is a historical irony to this turn of events, though neither governments nor corporations are likely to see it as such. Sanho Tree of the Institute for Policy Studies notes, "It’s ironic that it is China, and not a European power, that would challenge the Monroe Doctrine. The irony is doubled as China turns the original U.S. Open Door Policy of 1900 (designed to allow U.S. access to Chinese markets) back on the United States to get better access to Latin American markets."

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COMMENTO RELATIVO A QUESTA NOTIZIA,
inserito nel forum di PaginediDifesa.it

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GiovanniC.
Dec 18, 07 – 3:58 AM  Base militare cinese in ecuador?

Stavo cercando notizie inerenti la mia convinzione( e certezza)che non sarà l’euro a sostituire il dollaro come moneta di riferimento globale nelle transazioni petrolifere, e che anzi l’europa come è attualmente disegnata rischia un declino molto più accentuato e grave rispetto agli usa, il cui dollaro naturalmente non potrà essere sostituito del tutto in ambito globale, dove saranno diverse le valute di riferimento.
Semplicemente vi sarà una riduzione graduale delle riserve monetarie in dollari.
Esempio i paesi del golfo persico stanno studiando una moneta comune attraverso la quale corrispondere il prezzo del greggio.
Allo stesso modo, faranno i russi con il rublo per esportare gas e petrolio.
I cinesi useranno il yuan per pagare le loro importazioni.In attesa che l’asean nel 2010 adotterà una propria moneta, dove il yuan sarà di certo il riferimento principale, dato che le economie dei paesi del sud est asiatico sono connesse se non dipendenti dalla cina.
Gli usa,intanto a livello interno stanno studiando manovre protezionistiche per cercare di salvare il salvabile.

Solo l’ue e l’euro prosegue questa corsa verso il baratro e la fine dell’europa, della sua economia e della sua storia.
Invece di "proteggere" la sua economia, i suoi cittadini, i tecnocrati di bruxelles e gli gnomi della bce, stanno portando i paesi europei verso il baratro,verso la fine.
L’ue non ha materie prime, quindi deve approvigionarsi, non ha la forza militare quindi deve sottostare eppure adotta una politica monetaria ed impone ad i suoi cittadini regole da grande potenza.
E questa percezione,ovvero il diabolico disegno di svilire e distruggere l’europa, la culla della cultura occidentale, diviene ogni giorno sempre di più realtà.
Una moneta dovrebbe basare il suo valore all’economia reale, e come può l’euro mantenere questo valore da impero, quando i fondamentali dell’economia si reggono solo sulla forza tedesca?
E tutti gli altri paesi si stanno svilendo indebolendo perché costretti ad adeguare i loro corsi economico-produttivi al valore dell’euro?
Di un euro che può al limite sfruttare il decentramento produttivo nell’est europa, ma così facendo distrugge inesorabilmente le economie di paesi come Italia,francia spagna portogallo!
Un euro tedesco-dipendente, cui solo la miopia(e gli interessi particolari dell’alta finanza, cui dipendono i governanti Italiani)dei nostri politici non si rende conto che se non si modifica il corso, non si fa fronte comune con la francia, porterà alla debacle il nostro paese?
All’incubo argentino?
Incubo relativo non solo al corso economico dell’argentina degli anni 90, quando la sua economia legata strettamente al corso del dollaro, allo stesso modo in cui noi Italiani siamo strangolati dall’euro, crollò comportando il default, e le conseguenze a livello socio politico potrebbero comportare il viatico cileno della dittatura militare negli anni 70!
Dai toni attraverso i quali certi nostri politici si sono espressi recentemente c’è da preoccuparsi seriamente.
Già solo il fatto di fare gli gnorri difronte alla situazione economica sempre più gravosa in cui versano milioni di persone, è non solo indizio di indifferenza ma sintomo di palese arroganza!

E andando alla ricerca di notizie e prove per avvalorare questa mia tesi, che purtroppo si sta dimostrando sempre più reale ho trovato questa notizia che non so dove inserire, in quale contesto, in quale sticky .

Potrebbe, è di sicuro una provocazione, ma mentre gli usa si preoccupano di far partorire(o meglio abortire)il nuovo mediooriente, alle porte di casa loro, in ecuador si potrebbero trovare installata una base militare cinese.

Spero che il mio inglese non "fluenty" mi abbia fatto comprendere nel modo errato la notizia, ma mentre gli americani si occupano di insurgency e counterinsurgency in afganistan ed iraq, in sud america alle porte di casa loro prima c’è stato lo sganciamento totale dell’influenza usa in paesi strategicamente importanti come venezuela o bolivia,poi la nazionalizzazione delle riserve fossili poi la fine di tutte le transazioni in dollari di argentina e brasile poi la nascita del banco del sur che ha posto fine al monopolio del fondomonetario internazionale e delle imposizioni di politica economica infine viene offerto ai cinesi di posizionare in pianta stabile una base militare proprio a dirimpetto del nord america.

Sarà mica il caso di dire:by by Usa!
(anche se noi europei, se non ci si da una svegliata avremo un futuro molto peggiore! speriamo per ora in Sarzoky e che non badi solo agli affari di cuore ed al gossip!).

 

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Notizie varie

Posted by cincinnato1961 su dicembre 19, 2007

Mosca | 17 dicembre 2007

L’Iran riceve combustibile atomico dalla Russia

La prima fornitura di combustibile atomico destinato ad alimentare la centrale atomica iraniana di Busher e’ stata consegnata dall’azienda russa ‘Atomstroiexport’. La fornitura di uranio arricchito all’estero era una delle opzioni prese in esame per fermare il processo di arricchimento condotto in Iran che ha suscitato le preoccupazioni della comunita’ internazionale e i dubbi sull’impiego civile del combustibile atomico ottenuto nelle centrifughe di Teheran.

 

http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76795

 

 

 

17 dicembre 2007 – 21.51

Gb: persi altri 3 mln di dati personali 

LONDRA – Nuova debacle per il governo britannico di Gordon Brown: un disco rigido contenente dati personali di più di tre milioni di candidati alla prova orale della patente è stato smarrito dalla ditta appaltatrice americana. Lo ha annunciato oggi l’esecutivo di Londra. "Mi scuso per tutte le preoccupazioni e l’ansia che queste persone potranno provare" ha dichiarato il ministro dei trasporti Ruth Kelly in un discorso alla camera dei comuni.

Secondo il ministro, il disco rigido è scomparso a maggio scorso ad Iowa City dopo essere stato affidato alla società privata Pearson Driving Assessments, che aveva avuto l’appalto dalla Driving Standards Agency, organismo pubblico per gli esami della patente. Il disco conteneva nomi, indirizzi, numeri di telefono dei candidati all’esame orale della patente, ma secondo il ministro nel disco rigido non erano contenuti dati bancari dei tremila cittadini britannici.

In meno di un mese il governo britannico ha annunciato di aver perso dal database del Fisco di Sua Maestà i dati riservati di 25 milioni di cittadini britannici, e 7,25 milioni di famiglie che hanno diritto a un assegno di assistenza e sostegni vari per i bambini. Tra le perdite anche i dati personali delle persone entrate nei programmi governativi di protezione dei testimoni.

http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Gb_persi_altri_3_mln_di_dati_personali.html?siteSect=143&sid=8543966&cKey=1197924665000&ty=ti&positionT=3

 

 

 

17 dicembre 2007 – 19.21 

Scudo spaziale: Mosca, missili contro Varsavia e Praga 

MOSCA – Cresce l’escalation di pressioni e minacce da parte della Russia contro il progetto Usa di ‘scudo spaziale’ nell’Europa dell’est. Per la prima volta oggi Mosca, sia pur mandando in avanscoperta i suoi generali, ha indicato obiettivi ben precisi, Varsavia e Praga, per i suoi missili balistici intercontinentali. Una risposta diretta, quindi, a Polonia e Repubblica Ceca, i due paesi prescelti da Washington per ospitare il sistema antimissilistico contro i cosiddetti ‘Stati canaglia’, come l’Iran. L’ipotesi è stata servita con una duplice esibizione di muscoli: il lancio di prova da un sottomarino nucleare di un missile balistico intercontinentale, il quinto nel 2007, e l’annuncio della consegna a Teheran della prima fornitura di uranio arricchito per la centrale nucleare iraniana di Bushehr.

"Dobbiamo prendere misure che impediscano la svalutazione del potenziale deterrente nucleare russo. Non escludo che la nostra dirigenza politica e militare possa puntare qualcuno dei nostri missili balistici intercontinentali verso gli impianti di difesa anti missilistica in Polonia e Repubblica Ceca", ha spiegato il comandante delle forze spaziali strategiche, gen. Nikolai Solovtosv, ricordando che i missili strategici russi sono in grado di bucare qualsiasi sistema difensivo esistente e futuro, compreso quello che gli Usa vogliono installare in Europa.

Già Putin, in una intervista ai principali quotidiani dei Paesi del G8, alla vigilia del vertice tedesco di giugno, aveva ammesso la possibilità di schierare i missili russi contro obiettivi europei nel caso di un esito negativo dei negoziati russo-americani sullo scudo spaziale. L’altro ieri, invece, il capo di stato maggiore russo Iuri Baluevski aveva ammonito che l’eventuale lancio di un missile antimissile dalla Polonia "potrebbe essere male interpretato dai sistemi russi e provocare un colpo di risposta", evocando scenari degni del film ‘Il dottor Stranamore’. Tanto da suscitare la dure reazioni di Praga e Varsavia.

"Il linguaggio dei generali russi è inaccettabile, inimmaginabile nel mondo democratico", aveva obiettato il ministero degli esteri ceco. Sulla stessa lunghezza d’onda il premier polacco Donald Tusk. Oggi, infine, si è passati dal rischio di un errore ad una possibile scelta strategica, con bersagli indicati in modo chiaro.

SDA-ATS cont6inua sul sito ufficiale 

 

17 dicembre 2007 – 17.16

 

Olanda: Amsterdam, addio al quartiere a luci rosse

 

AMSTERDAM – Si chiama Wallen, è proprio al centro di Amsterdam, tra gli eleganti negozi del corso Damrak e i canali della celebre città olandese e per decenni ha attratto frotte di turisti in cerca del brivido del proibito. È il quartiere a luci rosse della più permissiva delle città europee, che si appresta però a cambiare radicalmente volto.

A quanto ha annunciato il sindaco Job Cohen, le autorità hanno messo a punto un piano ambizioso per chiudere le centinaia di vetrine del sesso dalle quali ragazze poco vestite (e praticamente tutte extracomunitarie) offrono eloquenti massaggi in cambio di denaro, per trasformare in localini alla moda i tanti bar dove non si trova nemmeno un caffé ma in compenso ci si possono fare tutte le canne che si vuole, e per chiudere i locali da pizza al taglio e mettere al loro posto ristoranti con chef e camerieri in marsina.

Intendiamoci, si è affrettato a precisare il sindaco, la prostituzione continuerà ad essere legale in città ed in tutto il paese, come da legge promulgata sette anni fa, e la marijuana ed altre droghe leggere potranno continuare ad essere consumate nei locali pubblici, ma, ha aggiunto, "una certa immagine romantica del Wallen è ormai passata di moda ed è venuta l’ora di restituire questa parte del centro di Amsterdam ai suoi abitanti".link

 

Cyberdipendenza: una parlamentare si rivolge al governo elvetico.

Didascalia: Si può essere dipendenti da uno schermo? (Ex-press) 

Altri sviluppi

La senatrice svizzera Erika Forster-Vannini ha depositato in Parlamento un’interpellanza in cui l’Esecutivo è invitato ad adottare misure efficaci per studiare e combattere la dipendenza da Internet.

Il dottor Olivier Simon, attivo presso il servizio di psichiatria comunitaria dell’ospedale universitario di Losanna, sottolinea però l’assenza di dati inequivocabili a questo proposito 

Stanze buie – l’unica luce, quella dello schermo –, occhi vitrei, nessun contatto con il mondo esterno. Lo scenario dipinto recentemente da alcuni media ed esperti del settore appare preoccupante.

In tutto il mondo, numerosi giovani e meno giovani sarebbero infatti dipendenti da Internet, portando all’eccesso tutte le possibilità offerte dalla rete: in primis giochi on-line, ma pure incontri virtuali e consumo di materiale pornografico, per citare i problemi ritenuti più diffusi. 

Una situazione che comporterebbe alienazione sociale, difficoltà professionali e disturbi fisici. Un quadro, questo, che ha spinto la senatrice svizzera Erika Forster-Vannini a depositare in Parlamento un’interpellanza intitolata «Dipendenza dallo schermo. Agire con lungimiranza».

Di che si tratta? 

Richiesta d’intervento 

Nel suo intervento, l’autrice sottolinea la crescente domanda di informazioni da parte dei genitori preoccupati. Tuttavia, osserva la senatrice, «per valutare la portata del problema sono necessarie solide basi che attualmente in Svizzera mancano». E proprio per questo motivo, al Governo viene chiesto di intervenire concretamente, con mezzi e misure adeguate. 

Per comprendere meglio la questione, abbiamo chiesto al dottor Olivier Simon – responsabile di unità presso il servizio di psichiatria comunitaria dell’ospedale universitario di Losanna – se la dipendenza da Internet esiste veramente e se può essere considerata alla stregua di quelle già conosciute. 

Un problema reale?

«È vero che durante gli ultimi anni gli specialisti sono stati molto sollecitati in merito al rapporto tra le nuove tecnologie e chi ne fa uso. Tuttavia, il dibattito in merito alla reale presenza di una cyberdipendenza è ancora apertissimo», afferma Simon. 

In generale – spiega l’esperto – la dipendenza è contraddistinta da una perdita di controllo e, secondariamente, dalle conseguenze negative vere e proprie. Quelle provocate dal troppo tempo passato davanti allo schermo non sono però gravi come le conseguenze derivanti, per esempio, dall’abuso di sostanze stupefacenti o dal gioco d’azzardo compulsivo. 

Olivier Simon ha contatti regolari con gli specialisti che si occupano da vicino del fenomeno, in particolare con l’ospedale Marmottan, situato nella regione parigina. Stando alle loro prime osservazioni, i percorsi di cronicità delle persone che si ritengono cyberdipendenti sono assai differenti da quelli di chi è alcolizzato o tossicomane. 

Chi passa troppo tempo allo schermo, infatti, spesso lo fa in coincidenza con un momento famigliare difficile e passeggero; la guarigione avviene solitamente in tempi brevi.
Per esprimere una valutazione attendibile sono necessari dati precisi, che però attualmente mancano                Dr. Olivier Simon  

Mancanza di dati precisi 

«Se da un lato si registrano notevoli progressi nello studio della dipendenza dalle sostanze, dall’altro non sono ancora disponibili dati sufficientemente esaustivi in merito ai cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi: cioé quel tipo di problemi comportamentali, come il gioco patologico, nei quali potrebbe rientrare la cyberdipendenza», aggiunge Olivier Simon.

Quindi, al momento attuale è impossibile avanzare cifre in merito al numero di individui che soffrirebbero di tale problema, così come indicare gli eventuali gruppi di persone a rischio. 

«Non si tratta assolutamente di negare o minimizzare la questione: per esprimere una valutazione attendibile, però, sono necessari rilevamenti psicometrici oggettivi», vale a dire relativi all’intensità, alla durata e alla frequenza dei processi psichici, ribadisce il medico.

Un auspicio condiviso da Erika Forster-Vannini. Nel suo testo, la parlamentare chiede appunto al Governo se è disposto a incaricare un organo, in seno all’Ufficio federale della sanità o a un’altra organizzazione appropriata, di effettuare le opportune analisi e statistiche. 

Informazione e dialogo

Sovente, i timori dei genitori sono legati a una scarsa conoscenza del mondo dei videogiochi e della rete. Per questo motivo, «Swiss gamers» – l’associazione elvetica dei videogiocatori – e lo psichiatra Serge Tisseron hanno elaborato congiuntamente un opuscolo di spiegazione e sensibilizzazione destinato a genitori e figli. 

Nell’opuscolo è menzionato il rischio di una pratica eccessiva del gioco. Spesso, viene ricordato, questi problemi sono tuttavia legati a situazioni di disagio già presenti. A tal proposito, Olivier Simon ricorda che non di rado le troppe ore di fronte a un monitor sono una delle conseguenze di problemi di depressione e ansia cronica.

 La pubblicazione ribadisce infine la necessità fondamentale – condivisa anche da Olivier Simon – di instaurare un dialogo in famiglia in merito all’attività videoludica: i figli sono invitati a coinvolgere maggiormente i genitori nei loro svaghi, e questi ultimi a documentarsi e interessarsi a quello che i figli fanno davanti allo schermo.

swissinfo, Andrea Clementi

link

 

  INTERPELLANZA 

Mediante l’interpellanza i membri dell’assemblea federale possono chiedere informazioni su eventi importanti o problemi di politica nazionale o estera oppure dell’amministrazione. Il Consiglio federale risponde di norma entro la sessione successiva. 

Questo tipo di atto parlamentare può essere dichiarato urgente. La risposta del Consiglio federale è indirizzata alla Camera corrispondente, che può metterla in discussione. L’interpellanza Forster-Vannini sarà discussa dal senato il 17 dicembre 2007 secondo quanto figura nel programma della sessione invernale che si svolge a Berna dal 3 al 21 dicembre. 

CONTESTO 

In Cina, dove vi sarebbero 137 milioni di internauti, il governo ha introdotto una serie di misure volte a combattere l’uso eccessivo della rete da parte delle giovani generazioni: orari ed accessi limitati agli Internet café, utilizzo di software che bloccano i videogiochi dopo qualche ore e istituzione, dal 2005, di speciali centri di recupero. 

Queste costose strutture – la retta mensile si aggira sui 1’300 dollari – offrono supporto psicologico e prevedono attività manuali e sport all’aria aperta. Sono previsti pure trattamenti farmacologici, stimolazioni visive ed emozionali, agopuntura. 

Dal canto suo, la Corea del sud, dove il 93% dei cittadini possiede un computer e molti ragazzi passano oltre 15 ore al giorno davanti allo schermo, ha creato una rete di consultori nelle scuole e presso gli ospedali. Per i casi ritenuti gravi, è previsto il ricovero, gratuito, in appositi «centri di riabilitazione statali». 

Anche in Europa e negli Stati Uniti, negli ultimi 5-7 anni, è aumentato considerevolmente il numero di specialisti che si occupano della dipendenza da Internet, proponendo test diagnostici e terapie di gruppo. 

In generale, stando agli esperti, i soggetti curati presentano carenze comunicative legate a problemi psicologici e/o psichiatrici, emarginazione, difficoltà famigliari e relazionali.

UNIONE EUROPEA

La coordination des politiques économiques en Europe : le malaise avant la crise ?

16 décembre 2007

« La coordination des politiques économiques, engagement politique fondamental de la construction européenne, connaît une crise sans précédent, aux graves conséquences économiques, sociales et politiques. » Rapport du Sénat, rédigé par MM. Joël Bourdin et Yvon Collin.

Synthèse du Rapport d’information de MM. Joël BOURDIN et Yvon COLLIN, fait au nom de la délégation du Sénat pour la planification

Le rapport d’information de MM. Joël Bourdin (UMP, Eure), Président de la Délégation du Sénat pour la planification, et Yvon Collin (RDSE, Tarn-et-Garonne), présente une évaluation de la coordination des politiques économiques en Europe, rapport d’étape dans la perspective de la future présidence de l’Union européenne par la France. Le constat est alarmant : la coordination, engagement fondamental dans le processus de construction européenne semble à l’abandon et dégénère en une confrontation aux effets économiques très préoccupants.

I – Pourquoi il faut une coordination sans faille des politiques économiques

Alors que la coordination des politiques économiques est un engagement politique fondamental dans le processus de construction européenne, son organisation et son fonctionnement concrets semblent, paradoxalement, inspirés par des approches théoriques et des instruments d’analyse économique qui fondent une coordination a minima, que symbolise le rôle primordial, sinon exclusif, du Pacte de stabilité et de croissance.

Or, l’influence de ces analyses ne doit pas occulter leurs faiblesses, que détaille le rapport, et représente un danger pour l’Europe. En effet, l’incoordination des politiques économiques jette les bases d’un environnement européen conflictuel et conduit à négliger les gains considérables de la coordination.

Cette influence est donc dangereuse. La théorie économique a, de longue date, expliqué pourquoi, en l’absence de coordination, les Etats choisissent des politiques antagonistes, qui conduisent à des pertes de bien-être. En outre, la plupart des études empiriques montrent que les gains de la coordination sont importants. Dans un ensemble économique aussi intégré que l’Europe, elle permet d’optimiser les interventions publiques, en amplifiant leur l’efficacité ou en réduisant leurs coûts.

Par exemple, une politique de soutien de l’activité peut être jusqu’à deux fois plus efficace si elle est coordonnée que si elle ne l’est pas.

II – Une coordination à l’abandon qui dégénère en politiques antagonistes

  De fait, les politiques économiques en Europe apparaissent, au mieux, incoordonnées, au pire, antagonistes :

  Le maniement conjoncturel des politiques budgétaires des principaux pays – l’Allemagne, la France, le Royaume-Uni… – manifeste l’existence de réactions différentes face à des chocs pourtant communs (graphique n° 1), différences qui altèrent leur efficacité.

  Sur un plan plus structurel, les politiques budgétaires témoignent, de plus en plus, de l’acuité de phénomènes de concurrence entre Etats, dont la concurrence fiscale est la manifestation la plus spectaculaire. Autrefois limitée à l’imposition du capital, avec pour conséquences une déconnexion entre la territorialisation des recettes fiscales et celle de l’activité économique (graphique n° 2), et l’existence dans la zone euro d’un taux d’imposition du capital plus faible aux Etats-Unis et au Japon, elle s’étend à d’autres formes d’imposition, par exemple, les impôts indirects dont l’élévation poursuit souvent des objectifs analogues aux dévaluations compétitives d’avant l’euro.

  Les politiques budgétaires n’ont pas l’apanage de l’antagonisme. Le partage de la valeur ajoutée, enjeu majeur de la politique économique, dévoile l’existence de choix très divergents et, pour certains, antagonistes (graphique n° 3).

COÛTS SALARIAUX UNITAIRES DU SECTEUR MANUFACTURIER

Note de lecture : les coûts salariaux unitaires mesurent le coût du travail en le corrigeant de son efficacité relative (la productivité du travail)

III – Une logique de déclin

En ce domaine, l’option la plus dangereuse, et la plus tentante dans un espace de noncoordination, est celle de la désinflation compétitive. Mais, en réalité, elle n’est soutenable, ni pour ceux qui la choisissent, ni pour l’Europe.

  Elle n’est pas payante pour ceux qui la choisissent puisqu’elle repose sur une combinaison déséquilibrée : le sacrifice des composants domestiques de la croissance (la déflation salariale mine le pouvoir d’achat et la demande) et l’exploitation de ceux des partenaires commerciaux.

Or, les sacrifices intérieurs, qui ne sont pas soutenables et n’ont aucun effet positif sur la productivité, entraînent une stagnation de l’investissement et de la croissance tandis que l’exploitation des partenaires crée des pertes considérables pour eux, logique intenable dont on mentionne ici deux exemples parmi d’autres.

L’Allemagne a connu une croissance de 0,5 % l’an entre 2001 et 2005 et la forte baisse de ses coûts salariaux unitaires a amputé la croissance française de 0,4 point de PIB en moyenne annuelle au cours de cette période. L’augmentation des déséquilibres commerciaux au sein de la zone euro est considérable (graphique n° 4).

ÉVOLUTION DES SOLDES DES BALANCES COURANTES EN ZONE EURO (1996 – 2007) (en points de PIB national)

  Elle diminue la croissance de l’ensemble de la zone (graphique n° 5), crée des chocs négatifs successifs auxquels la seule modalité de « coordination » (encore s’agit-il du contraire d’une vraie coordination puisqu’elle est assise sur des règles fixées ne varietur), le Pacte de stabilité et de croissance, empêche de répondre (tableau).

Ces rappels montrent que la non-coordination des politiques économiques occasionne déjà pour l’Europe, des pertes importantes de bien-être.

Ils suscitent aussi des inquiétudes plus structurelles encore :

  l’imitation des stratégies de désinflation compétitive, qui pour des pays sans possibilité de dévaluation, représente une forte tentation, plongerait l’Europe dans la stagnation économique, chacun effaçant les gains des partenaires, sans autre effet que de priver l’Europe de croissance ;

  les tensions résultant des antagonismes actuels, notamment les déficits extérieurs et les déficits publics auxquels ils contribuent beaucoup, remettent en question la capacité de certains à maintenir leur ancrage à l’euro et à réduire leurs dettes publiques ;

  les pertes de croissance, s’ajoutant aux effets directs de la concurrence fiscale, qui pénalise surtout les grands pays, anémient les budgets publics, particulièrement sollicités du fait des transitions qu’implique la réussite des projets les plus ambitieux de l’Europe (la Stratégie de Lisbonne, notamment). Dans ces conditions, la réussite de ces projets, essentiels pour relever la croissance potentielle, n’est pas envisageable.

L’importance des enjeux : la restauration du pacte politique européen et la refondation d’une Europe de la croissance et du progrès, commande de tourner le dos à une surenchère perverse qui voit le manque de coordination des politiques économiques dégénérer en une montée des antagonismes. En cohérence avec ses diagnostics, le rapport ouvre plusieurs chantiers de réformes auxquels la délégation pour la planification apportera sa contribution dans le semestre à venir de préparation à la présidence française de l’Union européenne.

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Maurice Allais : Les effets destructeurs de la Mondialisation

17 décembre 2007

« Le véritable fondement du protectionnisme, sa justification essentielle et sa nécessité, c’est la protection nécessaire contre les désordres et les difficultés de toutes sortes engendrées par l’absence de toute régulation réelle à l’échelle mondiale. »

Par Maurice Allais, Prix Nobel d’économie

Extrait d’une lettre ouverte adressée à Monsieur Jacques Myard, Député des Yvelines, 2005

L’Europe a favorisé l’émergence d’une mondialisation sans barrière. N’a-telle pas aussi concouru à l’accroissement de ses difficultés économiques ?

Les effets de la Mondialisation

En fait, à partir de 1974 on constate pour la France une croissance massive du chômage, une réduction drastique des effectifs de l’industrie et une réduction très marquée de la croissance.

Le taux de chômage au sens du BIT

De 1950 à 1974, pendant vingt-quatre ans le taux de chômage au sens du BIT est resté constamment inférieur à 3 %. De 1975 à 2005, pendant les trente années suivantes, il s’est progressivement élevé pour attendre 12,5 % en 1997 et 10 % en 2005.

Emplois dans l’industrie

Alors que de 1955 à 1974 les effectifs dans l’industrie s’étaient accrus d’environ 50.000 par an, ils ont décru de 1974 à 2005 d’environ 50.000 par an. Les effectifs de l’industrie ont atteint leur maximum d’environ 6 millions en 1974.

Produit intérieur brut réel par habitant

De 1950 à 1974 le taux de croissance moyen du PIB réel par habitant a été de 4 %. De 1974 à 2000 le taux moyen de croissance a été de 1,6 % avec une baisse de 2,4 % , soit une diminution de 60 %.

1950-1974 et 1974-2005. Deux contextes très différents

En fait, une seule cause peut et doit être considérée comme le facteur majeur et déterminant des différences constatées entre les deux périodes 1950-1974 et 1974- 2005 : la politique à partir de 1974 de libéralisation mondialiste des échanges extérieurs du GATT et de l’Organisation de Bruxelles et de la libéralisation des mouvements de capitaux dont les effets ont été aggravés par la dislocation du système monétaire international et l’instauration généralisée du système des taux de change flottants.

Incontestablement l’évolution très différente de l’économie française à partir de 1974 résulte de la disparition progressive de toute protection du Marché Communautaire Européen, de l’instauration continue d’un libre-échange mondialiste, de la délocalisation des activités industrielles, et de la délocalisation des investissements financiers [1] .

En tout cas, au regard de l’accroissement massif du chômage, de la très forte diminution des emplois dans l’industrie, et de la baisse considérable du taux d’accroissement du produit national brut réel par habitant à partir de 1974, il est tout à fait impossible de soutenir que la politique de libre-échange mondialiste mise en oeuvre par l’Organisation de Bruxelles a favorisé la croissance et développé l’emploi.

En fait, ce que l’on a constaté, c’est que la politique de libre-échange mondialiste poursuivie par l’Organisation de Bruxelles a entraîné à partir de 1974 la destruction des emplois, la destruction de l’industrie, la destruction de l’agriculture, et la destruction de la croissance [2].

Si la politique libre échangiste de l’Organisation de Bruxelles n’avait pas été appliquée, le PIB réel par habitant en France serait aujourd’hui d’au moins 30 % plus élevé qu’il ne l’est actuellement, et il serait certainement au moins égal au PIB réel par habitant aux Etats-Unis 4. Qui ne voit que les difficultés majeures auxquelles nous sommes confrontés aujourd’hui résultent pour l’essentiel de la diminution considérable du produit intérieur brut réel qu’a entraînée pour nous la politique libre échangiste de l’Organisation de Bruxelles.

La politique mondialiste de l’OMC et de l’Organisation de Bruxelles

Toute cette analyse montre que la libéralisation totale des mouvements de biens, de services et de capitaux à l’échelle mondiale, objectif affirmé de l’Organisation Mondiale du Commerce (OMC) à la suite du GATT, doit être considérée à la fois comme irréalisable, comme nuisible, et comme non souhaitable.

Elle n’est possible, elle n’est avantageuse, elle n’est souhaitable que dans le cadre d’ensembles régionaux économiquement et politiquement associés, groupant des pays de développement économique comparable, chaque Association régionale se protégeant raisonnablement vis-à-vis des autres.

En fait, une analyse correcte de la théorie du commerce international ne conduit en aucune façon à la conclusion que l’application à l’échelle mondiale d’une politique généralisée de libre-échange pourrait correspondre à l’intérêt réel de chaque pays, que ce soient les pays développés de l’Europe occidentale et de l’Amérique du Nord ou le Japon, ou que ce soient les pays en voie de développement de l’Europe de l’Est, de l’ex-URSS, de l’Afrique, de l’Amérique Latine, ou de l’Asie.

Je ne saurais trop l’affirmer : la théorie naïve et indûment simplificatrice du commerce international que nous brandissent les thuriféraires de la libéralisation mondiale des échanges est totalement erronée. Il n’y a là que postulats sans fondements.

En réalité, ceux qui, à Bruxelles et ailleurs, au nom des prétendues nécessités d’un prétendu progrès, au nom d’un libéralisme mal compris, et au nom de l’Europe, veulent ouvrir l’Union Européenne à tous les vents d’une économie mondialiste dépourvue de tout cadre institutionnel réellement approprié et dominée par la loi de la jungle, et la laisser désarmée sans aucune protection raisonnable ; ceux qui, par là même, sont d’ores et déjà personnellement et directement responsables d’innombrables misères et de la perte de leur emploi par des millions de chômeurs, ne sont en réalité que les défenseurs d’une idéologie abusivement simplificatrice et destructrice, les hérauts d’une gigantesque mystification.

L’hostilité dominante contre toute forme de protectionnisme

L’hostilité dominante d’aujourd’hui contre toute forme de protectionnisme se fonde depuis soixante ans sur une interprétation erronée des causes fondamentales de la Grande Dépression.

En fait, la Grande Dépression de 1929-1934, qui à partir des Etats-Unis s’est étendue au monde entier, a eu une origine purement monétaire et elle a résulté de la structure et des excès du mécanisme du crédit. Le protectionnisme en chaîne des années trente n’a été qu’une conséquence et non une cause de la Grande Dépression. Il n’a constitué partout que des tentatives des économies nationales pour se protéger des conséquences déstabilisatrices de la Grande Dépression d’origine monétaire.

  Les adversaires obstinés de tout protectionnisme, quel qu’il soit, commettent une seconde erreur : ne pas voir qu’une économie de marchés ne peut fonctionner correctement que dans un cadre institutionnel et politique qui en assure la stabilité et la régulation.

  Comme l’économie mondiale est actuellement dépourvue de tout système réel de régulation et qu’elle se développe dans un cadre anarchique, l’ouverture mondialiste à tous vents des économies nationales ou des associations régionales est non seulement dépourvue de toute justification réelle, mais elle ne peut que les conduire à des difficultés majeures.

Le véritable fondement du protectionnisme, sa justification essentielle et sa nécessité, c’est la protection nécessaire contre les désordres et les difficultés de toutes sortes engendrées par l’absence de toute régulation réelle à l’échelle mondiale.

Il est tout à fait inexact de soutenir qu’une régulation appropriée puisse être réalisée par le fonctionnement des marchés tel qu’il se constate actuellement.

Si on considère, par exemple, le cas de l’agriculture communautaire européenne, l’alignement de ses prix sur des prix mondiaux qui peuvent rapidement varier de un à deux en raison d’une situation toujours instable n ’a aucune justification.

La doctrine laissez-fairiste mondialiste

Depuis deux décennies une nouvelle doctrine s’est peu à peu imposée, la doctrine du libre-échange mondialiste impliquant la disparition de tout obstacle aux libres mouvements des marchandises, des services et des capitaux.

Cette doctrine a été littéralement imposée aux gouvernements américains successifs, puis au monde entier, par les multinationales américaines, et à leur suite par les multinationales dans toutes les parties du monde, qui en fait détiennent partout en raison de leur considérable pouvoir financier et par personnes interposées la plus grande partie du pouvoir politique.

La mondialisation, on ne saurait trop le souligner, ne profite qu’aux multinationales. Elles en tirent d’énormes profits.

Le nouveau Credo

Suivant cette doctrine la disparition de tous les obstacles aux changements est une condition à la fois nécessaire et suffisante d’une allocation optimale des ressources à l’échelle mondiale. Tous les pays et dans chaque pays tous les groupes sociaux doivent voir leur situation améliorée.

Les partisans de cette doctrine sont devenus aussi dogmatiques que les partisans du communisme avant son effondrement avec la chute du mur de Berlin en 1989. Pour eux la mise en oeuvre d’un libre-échange mondial des biens, des services, et des capitaux s’impose à tous les pays et si des difficultés se présentent dans sa mise en oeuvre elles ne peuvent être que temporaires et transitoires.

En réalité, les affirmations de la nouvelle doctrine n’ont cessé d’être infirmées aussi bien par l’analyse économique que par les données de l’observation. En fait, une mondialisation généralisée n’est ni inévitable, ni nécessaire, ni souhaitable.

Quatre conclusions fondamentales

De l’analyse des faits constatés résultent quatre conclusions tout à fait fondamentales :

  Une mondialisation généralisée des échanges entre des pays caractérisés par des niveaux de salaires très différents aux cours des changes ne peut qu ’entraîner finalement partout dans les pays développés : chômage, réduction de la croissance, inégalités, misères de toutes sortes. Elle n’est ni inévitable, ni nécessaire, ni souhaitable.

  Une libéralisation totale des échanges et des mouvements de capitaux n’est possible, et elle n’est souhaitable que dans le cadre d’ensembles régionaux groupant des pays économiquement et politiquement associés et de développement économique et social comparable.

  Il est nécessaire de réviser sans délai les Traités fondateurs de l’Union Européenne, tout particulièrement quant à l’instauration indispensable d’une préférence communautaire.

  Il faut de toute nécessité remettre en cause et repenser les principes des politiques mondialistes mises en oeuvre par les institutions internationales, tout particulièrement par l’Organisation mondiale du commerce (OMC).

L’aveuglement de nos dirigeants politiques

Au regard de l’ensemble de l’évolution constatée de 1974 à 2004, soit pendant trente ans, on peut affirmer aujourd’hui que cette évolution se poursuivra si la politique de libre-échange mondialiste de l’Organisation de Bruxelles est maintenue.

En fait, toutes les difficultés pratiquement insurmontables dans lesquelles nous nous débattons aujourd’hui résultent de la réduction d’au moins 30 % du Produit national brut réel par habitant d’aujourd’hui. La prospérité de quelques groupes très minoritaires ne doit pas nous masquer une évolution qui ne cesse de nous mener au désastre.

L’aveuglement de nos dirigeants politiques, de droite et de gauche, depuis 1974 est entièrement responsable de la situation dramatique où nous nous trouvons aujourd’hui. Comme le soulignait autrefois Jacques Rueff : « Ce qui doit arriver arrive. »

Toute l’évolution qui s’est constatée depuis 1974 résulte de l’application inconsidérée et aveugle de l’Article 110 du Traité de Rome du 25 mars 1957 constamment repris dans tous les traités ultérieurs :

Article 110

« En établissant une union douanière entre eux les Etats membres entendent contribuer conformément à l’intérêt commun au développement harmonieux du commerce mondial, à la suppression progressive des restrictions aux échanges internationaux et à la réduction des barrières douanières. »

En fait, pour être justifié l’Article 110 du Traité de Rome devrait être remplacé par l’article suivant :

« Pour préserver le développement harmonieux du commerce mondial une protection communautaire raisonnable doit être assurée à l’encontre des importations des pays tiers dont les niveaux des salaires au cours des changes s’établissent à des niveaux incompatibles avec une suppression de toute protection douanière. »

Ce texte est extrait de :

L’EUROPE EN CRISE QUE FAIRE ? Réponses à quelques questions

dont nous reproduisons ci-dessous le sommaire :

I.- La création de l’Euro est-elle justifiée ?
II.- L’Organisation politique de l’Europe
III.- Les effets destructeurs de la Mondialisation
IV.-
La nécessaire Préférence Communautaire
V.- De profondes réformes


Publication originale Maurice Allais (pdf)


[1] Voir Allais, 1999, La Mondialisation. La Destruction des Emplois et de la Croissance. L’Evidence Empirique, p. 142-146 et 451-455.

[2] Voir Maurice Allais 1999, La Destruction des Emplois et de la Croissance. L’Evidence Empirique

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aggiornamento news al 10-XII-2007

Posted by cincinnato1961 su dicembre 10, 2007

Mosca | 10 dicembre 2007
Presidenziali, Putin sostiene Medvedev

Vladimir Putin
Il presidente uscente Vladimir Putin sostiene "in pieno" la candidatura al Cremlino di Dmitrij Medvedev primo vicepremier e presidente di Gazprom per le elezioni di marzo 2008.

Putin si è espresso dopo un incontro a Mosca tra i dirigenti di Russia Unita, Russia Giusta, Forza Civile e il partito agrario della Russia, che avevano avanzato il nome di Medvedev come candidato unico.

"Sostengo pienamente questa proposta", ha detto Putin, citato dall’agenzia Itar-Tass. Ad avanzare la candidatura era stato il capo di Russia Unita e presidente uscente della Duma (il ramo basso del parlameno) Boris Grizlov.
http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76566


Teheran | 8 dicembre 2007
Nucleare, 007 Usa scagionano Iran ma Mottaki protesta per "spionaggio"
Impianto nucleare iraniano
Teheran ha inviato una protesta formale a Washington per le attività di spionaggio dei servizi segreti statunitensi. Questo malgrado l’ultimo rapporto dell’intelligence Usa sul programma nucleare iraniano si sia rivelato fonte di imbarazzo per la Casa Bianca e un salvagente per la Repubblica islamica per cui sembra allontanarsi il rischio di nuove sanzioni.

La nota, ha spiegato il ministro degli Esteri Manouchehr Mottaki, inviata tramite l’ambasciata svizzera (Teheran e Washington non hanno relazioni diplomatiche dal 1979) chiede "spiegazioni sulle attività di spionaggio" Il documento (Nie), diffuso lunedi scorso aveva sancito che Teheran dal 2003 ha sospeso le ricerche per dotarsi di ordigni nucleari anche se continuano le attività di arricchimento dell’uranio che nel 2015 potrebbero portare alla prima bomba atomica iraniana.

Il capo della diplomazia iraniana ha anche negato che Teheran prima del 2003 avesse cercato di avere la bomba. Si tratta, ha detto, di affermazioni "imprecise", utilizzate, "dagli americani per salvarsi la faccia".
http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76527


Roma | 8 dicembre 2007
Montezemolo: occorre un incontro urgente tra governo, sindacati e industriali
Luca Cordero di Montezemolo
Chiavi cronaca~ lavoro
"Occorre un incontro urgente" tra governo, sindacati e industriali: lo sottolinea Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria, che riferisce di
averne parlato con il premier e di aver condiviso con lui questa esigenza.

In una nota, Montezemolo spiega che "tragedie come quella di Torino sono per me semplicemente inaccettabili. Ho sempre pensato che alla sicurezza nei luoghi di lavoro si debba dedicare un’attenzione continua e, come ogni imprenditore, sono convinto che in materia di prevenzione sia sempre possibile
andare oltre le molte cose che gia’ si fanno".
"In circostanze tragiche come quella di questi giorni – aggiunge – il rispetto per le vittime e per il dolore delle persone sono dovuti, ma non bastano, e come presidente degli imprenditori italiani mi faro’ personalmente garante della vicinanza concreta alle famiglie". Quindi, "le autorita’ competenti stabiliranno circostanze e responsabilita’. Ma noi dobbiamo fare tutto quanto e’ in nostro potere perche’ non possano mai piu’ ripetersi episodi come questo".

"Percio’ – conclude – ho condiviso in una conversazione con il Presidente del Consiglio la necessita’ di un incontro urgente tra governo, imprenditori, e sindacati, per unire gli sforzi verso un obiettivo – la sicurezza di chi lavora- che e’ c
http://www.rainews24.it/notizia.asp?newsID=76523


ESTERI

L’annuncio del capo del capo del Cremlino mette fine a mesi di supposizioni
Il vice primo ministro, un suo fedelissimo, è anche a capo di Gazprom
Russia, Putin sceglie Medvedev
per le presidenziali del 2 marzo

Medvedev con Putin
MOSCA – Vladimir Putin ha scelto: sarà il vicepremier Dmitri Medvedev, che è anche presidente della Gazprom, il suo candidato per la successione al Cremlino, nelle elezioni del 2 marzo. La designazione di questo fedelissimo del presidente, che di fatto dovrebbe garantirne l’elezione, sarà sostenuta dal partito di Putin, Russia Unita, e da altre tre formazioni satellite. "Lo conosco da più di 17 anni, ho lavorato in stretta collaborazione con lui in tutto questo periodo e sostengo pienamente la proposta", ha dichiarato Putin in un incontro con i vertici di Russia Unita, Russia giusta, il Partito agrario e Forza civile.

L’annuncio del presidente mette fine a mesi di voci e supposizioni su chi sarebbe stato il suo delfino. In corsa per la successione c’era anche l’altro vice premier ed ex ministro della Difesa Sergei Ivanov.

"Il fatto – ha proseguito il capo del Cremlino – che a una tale proposta siano arrivati i rappresentanti di quattro partiti, due dei quali non solo sono entrati in Parlamento, ma hanno anche una maggioranza stabile mentre tutti e quattro si appoggiano su vari strati della popolazione e rappresentano gli interessi della maggioranza, ci dice che abbiamo una possibilità di formare un potere stabile nella federazione russa dopo le elezioni di marzo. Un potere che ha portato risultati in tutti questi ultimi otto anni".

(10 dicembre 2007)
http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/esteri/russia-presidenziali/russia-presidenziali/russia-presidenziali.html

10 dicembre 2007 – 12.46

Russia: presidenziali; Putin sostiene Medvedev

MOSCA – Il leader del Cremlino Vladimir Putin ha sostenuto la candidatura del primo vice premier russo Dmitri Medvedev alla presidenza.

Putin si è espresso dopo un incontro a Mosca tra i dirigenti di Russia Unita, Russia Giusta, Forza Civile e il partito agrario della Russia, che avevano avanzato il nome di Medvedev come candidato unico.

"Sostengo pienamente questa proposta", ha detto Putin, citato dall’agenzia Itar-Tass. Ad avanzare la candidatura era stato il capo di Russia Unita e presidente uscente della Duma (il ramo basso del parlameno) Boris Grizlov.
SDA-ATS
http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Russia_presidenziali_Putin_sostiene_Medvedev.html?siteSect=143&sid=8514272&cKey=1197287168000&ty=ti&positionT=4

10 dicembre 2007 – 10.46

Clima: Bali; rapporto, effetto serra porta a guerra civile

NUSA DUA-BALI – Conflitti tra popoli, migrazioni di massa, distruzione dei rapporti commerciali: a premere il grilletto di una nuova guerra civile i cambiamenti climatici e non le armi. Questo quanto afferma un nuovo rapporto reso noto a Bali, al summit mondiale indonesiano, dal titolo "Climate Change as a Security Risk".

In particolare, lo scioglimento dei ghiacciai o l’impatto sulla popolazione causato dall’innalzamento degli oceani è in grado di creare il caos in intere regioni del mondo."Si tratta di uno scenario futuro credibile", ha detto Hans Schellnhuber, uno degli autori dello studio e direttore dell’Istituto di ricerca di Potsdam sull’impatto del clima. "Se il riscaldamento climatico non sarà affrontato, Paesi fragili e vulnerabili, che già oggi sono in condizioni difficili, potrebbero implodere sotto la pressione del riscaldamento globale e generare delle onde di choc verso altri Paesi", ha proseguito Schellnhuber.

Himalaya, Ande e Darfur tre esempi dove di potrebbero innescare conflitti per acqua e cibo dovuti all’impatto del clima malato. Occorre, afferma il rapporto, una politica ambiziosa di riduzione di gas serra da qui al 2050.

http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Clima_Bali_rapporto_effetto_serra_porta_a_guerra_civile.html?siteSect=143&sid=8513766&cKey=1197279968000&ty=ti&positionT=10

10 dicembre 2007 – 07.36

Finanza: America latina, nata la Banca del sud

BUENOS AIRES – I presidenti di un gruppo di paesi del Sudamerica, fra cui Argentina, Brasile e Venezuela, hanno firmato ieri sera a Buenos Aires l’atto costitutivo della Banca del sud, un organismo finanziario che avrà come compito principale di aiutare a ridurre le asimmetrie continentali.

In una cerimonia carica di contenuti emotivi, realizzata nella Casa Rosada di Buenos Aires alla vigilia dell’assunzione della presidenza in Argentina della presidente Cristina Fernandez Kirchner, i capi di Stato di Argentina, Bolivia, Brasile, Ecuador, Paraguay e Venezuela – l’Uruguay lo farà oggi nel pomeriggio – hanno detto sì ad un organismo inedito che avrà sede a Caracas e uffici a Buenos Aires e La Paz.

Lo statuto della Banca stabilisce che essa finanzierà lo sviluppo dei paesi membri con l’obiettivo di rafforzarne l’integrazione, ridurre le asimmetrie e promuovere una distribuzione equa degli investimenti. All’inizio disporrà di sette miliardi di dollari che saranno utilizzati per progetti in settori come economia e scienza, ma anche per iniziative volte a ridurre povertà ed esclusione sociale.

Rivolgendosi ai presenti, il boliviano Evo Morales ha salutato "una banca che aiuterà non solo i privati ma anche a imprese pubbliche e sociali". Da parte sua il brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha ricordato che "solo una America latina integrata, forte ed unita potrà occupare il ruolo che le spetta nello scenario internazionale". A sua volta l’ecuadoriano Rafael Correa ha sottolineato che "la lunga e triste notte neoliberale volge al termine" e che accanto alla Banca, "deve nascere il Fondo del sud, per raccogliere le riserve dei nostri paesi che oggi sono depositate in banche estere".
SDA-ATS
http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Finanza_America_latina_nata_la_Banca_del_sud.html?siteSect=143&sid=8513050&cKey=1197268566000&ty=ti&positionT=14

9 dicembre 2007 – 18.06

Olanda: auto tassate per ogni chilometro percorso dal 2011
BRUXELLES – Auto e camion in Olanda saranno tassati a partire dal 2011 sulla base di quanto utilizzeranno le strade, praticamente tanto a chilometro: questo il progetto di Camiel Eurlings, ministro dei Trasporti, che ha annunciato la nuova imposta basata sulle distanze percorse, misurate dai sistemi satellitari.

Il ministro, che ha annunciato con un sospiro di sollievo la decisione, ha precisato che nel 2011 dovrebbero cominciare a pagare i camion, dall’anno seguente le automobili. Tutti, indistintamente, pagheranno una piccola imposta di base per "l’uso della strada" e le auto più inquinanti pagheranno di più. Eurlings ha aggiunto di sperare che tutta l’Olanda sarà coperta dal sistema di tassa a chilometro percorso entro il 2016, un provvedimento il cui scopo è la lotta al traffico sempre più congestionato.

Il governo afferma di averle provate tutte per combattere gli ingorghi, ma gli otto milioni di automobilisti olandesi non hanno mai rinunciato a mettersi al volante. Con la nuova formula, ha sottolineato Eurlings, metà degli automobilisti olandesi pagheranno meno, perché alla tassa sulla proprietà del veicolo si sostituisce l’imposta sull’utilizzazione e non tutti guidano in modo assiduo.

SDA-ATS
http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Olanda_auto_tassate_per_ogni_chilometro_percorso_dal_2011.html?siteSect=143&sid=8512210&cKey=1197219967000&ty=ti&positionT=21

9 dicembre 2007 – 17.06

Israele: Ong denuncia aumento razzismo antiarabo

GERUSALEMME – Un grido d’allarme contro un asserito forte aumento di posizioni razziste e ostili agli arabi di Israele da parte della maggioranza ebraica del paese è stato lanciato dall’ Associazione per i Diritti Civili in Israele (Acri). In un rapporto, che si basa su una serie di studi condotti nel corso di quest’anno, l’Acri afferma di aver rilevato un’impennata nelle posizioni di ostilità degli ebrei israeliani nei confronti della minoranza araba (il 20% della popolazione).

Dal rapporto dell’Acri emerge che solo metà della popolazione ebraica ritiene che gli arabi debbano avere uguali diritti. "Più di metà degli israeliani ebrei – afferma l’Acri – hanno dichiarato di non essere disposti ad abitare con un arabo, non sono disposti a visitare un arabo a casa sua, sono per una separazione tra arabi ed ebrei nei luoghi di ritrovo, si oppongono alla partecipazione di partiti arabi al governo".

Ancora più allarmante appare la diffusione di stereotipi razzisti tra i giovani ebrei israeliani: "Più di due terzi dei giovani – afferma l’Acri – pensano che gli arabi non siano intelligenti, non siano istruiti, non siano colti, non siano puliti e siano violenti".

Nel 2006, riferisce l’Acri, c’é stato un aumento del 26% nel numero di incidenti razzisti nei confronti degli arabi e i sondaggi rilevano un aumento del 100% nei sentimenti di odio espressi dagli ebrei nei confronti degli arabi". Anche la stampa israeliana contribuisce al rafforzamento di stereotipi negativi. Gli arabi sono soggetti a minori stanziamenti di stato a loro favore e a controlli più severi e umilianti nei porti e negli aeroporti da parte degli addetti alla sicurezza.
http://www.swissinfo.org/ita/mondo/detail/Israele_Ong_denuncia_aumento_razzismo_antiarabo.html?siteSect=143&sid=8512036&cKey=1197216366000&ty=ti&positionT=24

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notizie di oggi 06-xii-07

Posted by cincinnato1961 su dicembre 6, 2007

La Bce lascia invariato il tasso di interesse dell’euro al 4%..
Il governo Italiano regala alle famiglie più povere una vacanza da godere però nei periodi di bassa stagione.

Due notizie sulle quali non si può che fare dell’amara ironia.
Il governo Italiano, per buona parte del 2007, ha enfatizzato la disponibilità di alcuni miliardi di euro, surplus derivato da impreviste entrate fiscali .
Dopo mesi di proposte e discussioni si è deciso dove e a chi ridistribuire parte di questo danaro, meglio conosciuto come il tesoretto.
Finalmente le famiglie che non possono permetterselo hanno, dal prossimo 2008, la possibilità, a spese dello stato, di fare l’agognata vacanza., però in periodi di bassa stagione.
Il governo con questa iniziativa ha preso 3 piccioni con una fava.
Consentire alle famiglie disagiate economicamente di fare una vacanza, fuggire lo stress e la frenesia della città per passare un periodo di assoluto relax..Anche se molte di queste famiglie, non potranno rilassarsi completamente perché le accompagnerà il pensiero che in città non hanno lasciato solo lo stress e la frenesia. Ma anche bollette dei servizi da pagare in ritardo.
Il conto della spesa alimentare dal pizzicagnolo.Il conto corrente drammaticamente in rosso.
La rata del mutuo aumentata a causa del rialzo degli interessi. E una famiglia certamente non può stare a disquisire del fatto che mentre le banche centrali accorrono in soccorso di tutti quegli enti finanziari in difficoltà a causa della crisi dei subprime scoppiata negli Usa, si disinteressano dello stato dell’economia reale.
Degli effetti e conseguenze che una moneta troppo apprezzata può avere sull’economia di tutti i giorni sulla vita quotidiana degli individui.
E quantomeno, di tassi di interesse tenuti artificialmente alti, senza che ve ne sia una latente necessità.(eccetto ovviamente gli interessi speculativi dell’alta finanza).
Tra il bisogno di tante cose necessarie, le famiglie ovviamente non possono permettersi di trascorrere le agognate vacanze in località di villeggiatura.
Allora ci pensa il governo a finanziare la vacanza agli Italiani più poveri, anche se in periodi di bassa stagione..
E questa decisione non viene incontro solo alle famiglie indigenti, ma anche all’industria del turismo che ritroverebbe, anche se in bassa stagione, quella clientela che ai tempi della lira aveva sempre l’abitudine di trascorrere il periodo di ferie in vacanza.
Ma con l’avvento dell’euro, prima questa vacanza si è limitata a pochi giorni, poi nei fine settimana, e da ultimo i più hanno dovuto rinunciare alla vacanza.
Quindi una boccata d’ossigeno anche per l’industria del turismo, con le vacanze offerte dallo stato.
Ma la genialità di questa decisione sta nel terzo piccione preso con una fava.
Lo scorso anno, il ministro del turismo Rutelli, propose di scaglionare i periodi di ferie.
La maggior parte delle aziende chiude in agosto per le ferie. E agosto oltretutto è anche il periodo scelto per le vacanze dalla maggioranza dei cittadini.
Rutelli da parte sua propose di non chiudere le attività in agosto, ma di scaglionare le ferie nell’arco dei 4 mesi estivi, e fare in modo così, di non fermare tutte le attività produttive a beneficio della produttività e quindi del pil.
E offrendo il governo la vacanza nei periodi di bassa stagione, obbliga chi vuole usufruire di questo regalo a scegliere il periodo di ferie in giugno o settembre e quindi consente alle imprese di continuare l’attività anche nel mese di agosto.
E pensare che c’è chi sostiene che il ministro Rutelli sia dotato di scarsa intelligenza!
Questa iniziativa del governo rasenta però il ridicolo, ed offende milioni di famiglie e persone che si trovano a dover affrontare difficoltà quotidiane sempre maggiori.
Non è stata mai resa chiara l’entità di questo “tesoretto”. Secondo quanto dichiarato dal primo ministro diversi mesi fa, 7,5 miliardi di euro sono stati destinati al taglio del cuneo fiscale delle imprese. Altri 3 miliardi di euro per il taglio del cuneo fiscale di banche ed assicurazioni.
Ma a livello sociale, la perdita sempre più accentuata del potere di acquisto dei salari, c’era la necessità di riequilibrare la politica dei redditi.
Di ridistribuire ai redditi più bassi il tesoretto. O perlomeno attuare quelle misure indispensabili per colmare il divario tra salari e prezzi al consumo, tagliando il cuneo fiscale a beneficio anche delle buste paga dei lavoratori.
Redditi che a causa dell’euro sovrapprezzato e di una politica monetaria “straniera” estranea agli interessi del paese, hanno perso in 5 anni il 30% del loro potere di acquisto..
Una perdita che da anni si manifesta palese, ma le autorità sembrano essersene accorte solo negli ultimi mesi. Quando è stato reso noto il divario e la sproporzione che c’è tra i salari Italiani e quelli degli altri paesi europei.
Questo divario ha origine nel 1997, quando si decise in modo frettoloso di aderire alla moneta unica, senza valutare le conseguenze che avrebbe comportato nel lungo termine.
A causa di diversi fattori, fu imposto un concambio che svalutava la nostra moneta del 30%, e a questa svalutazione non fece però seguito la necessaria inflazione.
E svalutare senza inflazione significa apprezzare.
Per cui ci siamo trovati con una moneta che ha apprezzato la nostra produttività e la nostra struttura del 30%, ma al tempo stesso non è seguita una svalutazione della valutaE’ aumentato del 30% il prezzo di acquisto, ma non è stato adeguato del 30% lo strumento per acquistare cioè il salario.
Si sarebbe dovuto, nel 1997, prima svalutare la lira, dare corso all’inflazione, dopo- 2-3 anni rialzare i tassi di interesse ed il terzo o quarto anno entrare nell’euro con le dovute proporzioni
Del resto lo sostiene anche la Bce, che da un suo studio ha concluso che la nostra struttura produttiva si è apprezzata del 30% rispetto alla lira e agli altri paesi facenti parte della moneta unica.

E la bce continua a marciare sul binario fisso del controllo dell’inflazione, tenendo i tassi di interesse troppo alti rispetto alle necessità.
Perché è impensabile, assurdo che un economia, la produttività di un paese si debba adeguare alla moneta ed al suo valore.
Giappone Cina Usa Uk Russia adeguano il valore delle loro monete alle necessità della struttura produttiva, dell’economia reale, della bilancia commerciale.
Mentre in europa ed in modo particolare in Italia, è la nostra economia a doversi adeguare alla moneta!
Moneta che mantenendosi apprezzata, favorisce Cina Giappone Usa ed Uk, perché l’euro è diventato parametro di riferimento soprattutto della politica monetaria cinese.
I cinesi, che detengono 1,4 trilioni di dollari di riserve monetarie , hanno delle difficoltà in quanto il calo del dollaro oltre a deprezzare le riserve in dollari detenute dalla banca centrale cinese, toglie loro un parametro di riferimento per ciò che concerne il valore della produttività, e quindi li vedrebbe costretti a rivalutare la loro moneta, tenuta finora bassa artificialmente perché agganciata al valore del dollaro ma ora che il dollaro si deprezza, non avrebbero più riferimenti e parametri.
Ma al calo del dollaro corrisponde un apprezzamento dell’euro, per cui i cinesi ora hanno a disposizione un altro riferimento e parametro. Hanno perso con gli Usa lo sbocco sicuro delle loro merci, ma lo hanno trovato nell’euro che si è apprezzato.
I cinesi cioè possono ora permettersi di esportare in dollari e acquistare in euro.
Mentre se l’euro fosse tenuto basso perderebbero questa possibilità e sarebbero costretti a comprare con la loro moneta, quindi la dovrebbero rivalutare.
Poveri noi cittadini Italiani!
Abbiamo un governo che del tesoretto non ci dà neppure le briciole che ci aveva promesso E intanto la finanziaria lievita a causa degli emendamenti, cioè le spese che ogni parlamentare chiede per la sua parrocchia elettorale.E le tredicesime saranno più leggere del 5%.
Oltre naturalmente agli aumenti in corso dei generi di prima necessità.
E nel frattempo il valore elevato dell’euro ci sta strangolando e le imprese di questo passo o saranno costrette a decentrare oppure a chiudere.
DOVEVANO AIUTARE LE FAMIGLIE!
Ne aiutano solo il 5%. Quelle poche che non hanno avuto rimborsi Irpef alla presentazione del modello relativo ai redditi del 2006!
E quale famiglia, con un solo reddito fisso o peggio uno precario non ha ricevuto rimborsi nel 2007?
E quante coppie hanno dai 4 figli in su?(il 2%?).

E’ DA UN ANNO ORAMAI CHE IL PREMIER E QUESTO GOVERNO CI PRENDE IN GIRO!
In campagna elettorale,Prodi oltre a promettere il paese di bengodi per tutti, disse che avrebbe voluto vederci tutti felici.
Quanto vorrei incontrare di persona Prodi e manifestargli tutta la mia felicità!

FINANZIARIA: ARRIVA BUONO VACANZE PER POVERI

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Roma, 6 dic. (Adnkronos) – Arrivano i ‘buoni vancaza’ per le fasce meno abbienti, che potranno approfittare dell’offerta andando in vacanza nei periodi di bassa stagione. E’ stato approvato in commissione Bilancio alla Camera un emendamento alla finanziaria che introduce delle misure per favorire la crescita della competitivita’ e dell’offerta del sistema turistico.

 

http://www.adnkronos.com/IGN/Economia/?id=1.0.1639444640

 

La crescita a fine anno si attesterà all’1,8 per cento, per poi rallentare ancora
"Il governo deve convincere gli italiani della necessità di abbassare il deficit"

Ocse: Pil rivisto al ribasso
"Il deficit deve calare"

ROMA – La crescita del Pil in Italia si attesterà a fine anno all’1,8% per rallentare ancora all’1,3% nel 2008 e nel 2009. Lo prevede l’Ocse nel suo ultimo Outlook economico in cui rivede al ribasso le precedenti stime di maggio, pari a una crescita del 2 e dell’1,7% per il 2007 e il 2008.

"Il Pil Italia – spiega l’Ocse nel rapporto presentato oggi a Parigi, ha rallentato nella prima metà del 2007 per via della frenata dell’export che, dopo un rimbalzo nel terzo trimetre scenderà nel quarto". Secondo gli esperti di Parigi, "la crescita nel 2008-2009 sarà vicina al suo potenziale ma al di sotto dell’1,5%".

Il deficit-pil italiano si attesterà nel 2007 al 2,2% nel 2007, al 2,3% nel 2008 e al 2% nel 2009, si legge ancora nell’Economic Outlook.

Per quanto riguarda l’occupazione l’Ocse prevede che questa salirà ancora, dello 0,9-0,7% nel biennio 2008-2009, a un ritmo però inferiore agli anni precedenti portando comunque il tasso di disoccupazione a calare ancora al 5,8%. In rialzo invece l’inflazione che dal 2% di quest’anno si porterà, su base del tasso armonizzato, al 2,4% nel nel 2008 per ritornare sotto il 2% all’1,9% nel 2009.

Per gli esperti di Parigi, "sono all’orizzonte aumenti della spesa legati all’invecchiamento della popolazione, anche se la riforma delle pensioni – ammette l’Ocse – ha messo l’Italia in una posizione che sembra migliore di quella di altri paesi". "Il governo ora – suggeriscono gli esperti di Parigi – ha bisogno di convincere l’opinione pubblica che i suoi piani di ridurre deficit e debito saranno mantenuti e, preferibilamnete rafforzati".

(6 dicembre 2007)

 

 

http://www.repubblica.it/2007/11/sezioni/economia/conti-pubblici-62/ocse-conti-italia/ocse-conti-italia.html

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